I luoghi di FUSO, il festival internazionale di videoarte di Lisbona, sono disseminati in tutta la città. Una città-cantiere, nel fervore di un turismo in crescita, e che risana e restaura e costruisce cercando di serbare quel fascino un po’ scrostato, quello splendore malinconico e vecchiotto. Si sale e si scende per le sue colline per raggiungere le proiezioni, e poiché ogni anno c’è qualche piccola variante anche gli habitués scoprono nuovi scorci, nuove aperture sul Tago. Siamo all’ottava edizione di questo festival che si svolge a fine agosto (quest’anno dal 23 al 28) e le cui proiezioni sono allestite in giardini, chiostri e spazi aperti di grande suggestione.
La luna sul Tago luccicante, alberi o rovine secolari, le immagini sperimentali che scorrono sullo schermo, le sdraio, il bicchiere di vino offerto dallo staff , creano le condizioni di un piacevole stato di vertigine audiovisiva in un pubblico folto, attento, preparato, che di sera in sera, per quasi una settimana, incontra ospiti dal mondo e si confronta anche con il panorama indipendente e videoartistico portoghese.
LE VERTIGINI
E proprio alle vertigini, metafora della stessa videoarte come del cinema sperimentale, è stato dedicato un programma del festival curato da Vivian Ostrovsky: da Buster Keaton a Peter Tscherkassky una piccola galleria di spaesamenti lunga un secolo. Su questo tema e su questo status Vivian Ostrovsky, con Ruti Gadish, ha realizzato anche l’installazione Dizzymess, presentata nel bellissimo Palacio de Pombal, con proiezioni diverse sulle quattro pareti, in un succedersi e intrecciarsi (con musica) di sequenze «vertiginose» scelte con un taglio ironico e sapiente che ha saputo evitare il «found footage» più facilmente cinefilo.
DESIDERIO E MEMORIA
Ogni serata di FUSO vede il succedersi di due curatori che presentano una selezione tematica: a «Desiderio e memoria» è stata dedicata la selezione di Thierry Destriez, della storica casa di distribuzione francese «Heure Exquise!», un pilastro nel sostegno ad autori e artisti indipendenti, da decenni, mentre la curatrice cileno-norvegese Daniela Arriado ha presentato un «Viaggio su acque salate» dedicato alle migrazioni, alle diaspore, ai naufragi. Temi sempre trattati con una varietà non classicamente narrativa, storie fra danza, astrazioni, intrecci sospesi ed enigmatici, sguardo documentario sfrangiato da elaborazioni visive e sonore. Christine Van Assche, storica curatrice delle collezioni e delle mostre video del Centre Pompidou (di cui è ora conservatrice onoraria) ha chiuso le giornate del Festival con una selezione dedicata a quattro autori: Chris Marker e Alain Resnais, Anthony Ramos, Isaac Julien. Ci sono poi le selezioni curate da un artista o da un curatore portoghese (quest’anno Bruno Leitão e Miguel Von Hafe Pérez).
CORTOCIRCUITI
FUSO (diretto da António António Câmara Manuel e Jean François Chougnet, affiancati da uno straordinario e appassionato staff che fa miracoli con un budget davvero esiguo) non rincorre le novità e le anteprime – che pure nelle giornate del festival ci sono – preferendo creare cortocircuiti fra passato e presente, illuminare zone d’ombra, ripescare vere e proprie «perle» dimenticate negli archivi, far conoscere un autore, un’autrice, lasciati al margine; ricostruendo insomma una storia della videoarte estesa anche al dialogo col cinema e con le altre arti, senza dimenticare un’istanza politica, di consapevolezza civile, di rapporto col mondo.
I PORTOGHESI
E poi c’è la produzione portoghese, spesso sommersa, a parte alcuni grandi nomi di artisti ormai residenti all’estero: e tradizionalmente la prima serata di FUSO, affollatissima, è dedicata al concorso, con una selezione a cura di Chougnet fra i tanti lavori che arrivano al Festival (quest’anno 150). Nel bellissimo Museo dell’elettricità, ora in pieno ampliamento, diventato «Museu de Arte, Arquitetura e Tecnologia», si sono viste 23 opere, assai diverse: ritratti e micro-documentazioni, lavori di taglio performativo o ereticamente video-musicale, corti di denuncia, opere decisamente contemplative, come A Torre, di Salomé Lamas (2015, 8’) che ha avuto il Premio della Giuria; mentre On Drawing, di Ana Mendes (2016, 10’), ritratto di una donna marocchina analfabeta che vive in Francia e che usa il disegno per cavarsela, ha ricevuto la menzione speciale. Questa prima serata vede anche il voto del pubblico, che ha premiato The Stock Model di Alice dos Reis (2016, 3’41”), collage di prelievi da pubblicità immobiliari in 3D abitate da una modella la cui «vera» immagine è stata resa grafica e virtuale, e che si narra.
I SEMINARI
L’antico Palacio de Pombal ha ospitato nei pomeriggi i seminari, curati da Elsa Aleluia: sale che si aprono sugli alberi giganteschi del cortile, strati diversi di pittura e decorazione, stanze riparate a metà, vastità di saloni precari, carichi di memoria e insieme sgombri: scenario ideale per i «lavori in corso» sui temi di FUSO. Quest’anno la storia del festival stesso, un excursus sulla mostra «Video Vintage» (2012, Centre Pompidou, poi itinerante), i nuovi modi e nodi della distribuzione.
LORI ZIPPAY
E proprio a una gloriosa distributrice, la EAI (Electronic Arts Intermix) di New York, che festeggia i suoi 45 anni di attività, è stata dedicata sia una piccola rassegna inaugurale nel quartiere di Belém che una serata del Festival, con Lori Zippay, pioniera e direttrice di EAI. Lori Zippay ha regalato al pubblico un assaggio delle tante iniziative dell’anniversario, portando a Lisbona (fra le rovine della chiesa do Carmo) una selezione dei programmi che a New York costellano l’anniversario e, in particolare, opere meno note – seppur di artisti e artiste di rilievo come Paik, Birnbaum, Schneemann – introdotte da uno storico video di Anthony Ramos: un viaggio nei quattro decenni della storia della struttura, che ha in archivio migliaia di opere e in cantiere progetti importanti di condivisione, conoscenza e «produttività» di idee. In sintonia con la filosofia di FUSO.