Dal vedere e dall’ascoltare nascono due tra le arti ‘maggiori’, per come erano designate nei trattati d’estetica di un tempo: l’arte della pittura e l’arte della musica. Nelle forme e nei modi loro propri che un’antica tradizione ha consolidato nel corso dei secoli, musica e pittura si offrono al nostro ascolto ed alla nostra osservazione. Affinano la nostra facoltà critica e di giudizio, determinano le oscillazioni del gusto. Alla realizzazione delle opere pittoriche o musicali presiedono regole e codici convenuti e riguardano tanto la loro persistenza quanto la loro costante innovazione, il senso delle rotture come il significato delle continuità.

Regole e maniere mutano, si evolvono e recedono, rinascono e deperiscono, tornano o si esauriscono secondo il movimento incessante che muta e trasforma le inclinazioni, gli interessi, le suggestioni che agitano e determinano nei tempi le vicissitudini dell’humana conditio. Le condizioni della vita degli uomini quali si consolidano e poi infragiliscono e vanno a spegnersi nell’assiduo combinarsi delle relazioni sociali.

Nei termini di quelle relazioni si affermano i diversi atteggiamenti che esse inducono nella vita dei singoli individui: passioni, credenze, consuetudini giorno dopo giorno, una generazione dopo l’altra. L’humana conditio che ciascuna epoca si rappresenta e traspone e fissa nelle forme delle opere d’arte. Mi sono abbandonato a questo filosofeggiare a spanne (e un po’ prêt-á-porter per il quale chiedo venia a chi legge) al tavolo di un ristorante, mentre attendevo che mi fosse servita una pizza.

Ero appena arrivato dopo molte ore di viaggio in treno in una piccola città della Sicilia affacciata sul Tirreno. La ferrovia corre lungo la costa ed io mi ero goduto lo spettacolo sempre nuovo del calar del sole sul filo dell’orizzonte. Un mare senza un’onda rifletteva come uno specchio le variazioni della luce che, dopo un tripudio di gialli e di viola, una volta inabissatosi il sole, si faceva sempre più remissiva, arretrava cedendo la scena alle ombre della sera e poi, rapidamente, alla notte.

Scendo alla stazione, unico viaggiatore. Le strade della piccola città sul mare erano a quell’ora già deserte. Nell’avviarmi verso l’albergo, ecco che in fondo a una viuzza laterale leggo un’insegna illuminata: «Ristorante Paradiso». Entro. Mi investe una musica suonata a tutto volume. Dico musica, ma piuttosto dovrei dire un ritmo frenetico di colpi sordi, di tonfi pesanti prodotti dalla percussione continua di un enorme invisibile tamburo.

Tonfi che rintronano da una parete all’altra della sala. Alle pareti sono sistemati due grandi schermi dove veloci passano immagini in successione casuale, mi pare, una via l’altra. Qui balla intorno a un palo una ragazza seminuda. Lì cavalli bradi, la criniera al vento, corrono sfrenati sulla sabbia dorata. Ora la ragazza è sparita e si vedono grattacieli altissimi. Di qua i cavalli non ci sono più: c’è uno stormo di deltaplani multicolori che veleggiano su un lago alpino.

Ai tavoli del «Paradiso» una trentina di avventori, tutti assai giovani, si intrattengono dopo cena smozzicando frasi a voce alta. I più esibiscono braccia e colli tatuati e qualcuno, tra i maschi, si è pettinato i capelli come una cresta. Avvolta dalla sarabanda dei suoni, alle sue spalle il rutilante flusso dei fotogrammi, una giovane madre allatta al seno un neonato stordito dal sonno e poco propenso a poppare, lei presa in una discussione con l’amica che le siede accanto.

Il vedere, l’ascoltare qui al «Paradiso» ti crollano addosso in un franare che ti assorda e ti acceca. Ecco la musica e la pittura in un loro insensato frantume estremo, mi dico. Qui si propagano suoni ridotti a un rumore cadenzato che non si ascolta, ma si subisce fisicamente. Qui i colori e le luci si accostano senza un intendimento, senza costrutto a che producano sensazioni ottiche che non è necessario assimilare, far proprie. Esse transitano il tuo corpo nell’inerzia di meri fenomeni che ti circondano gratuiti e senza significato. Un’ebetudine frastornata. Subitanee reazioni, una risata, un gesto eccitato. L’immobilità delle espressioni sui volti. Parole urlate. Al «Paradiso», qualche sera fa.