Giro girotondo / casca il mondo / casca la terra / tutti giù per terra!
Che vada a finire veramente così? Il surriscaldamento del pianeta, la distruzione delle foreste, l’inquinamento della terra, dell’aria e dei mari, il moltiplicarsi di incendi e di fenomeni atmosferici sempre più estremi, le guerre senza fine, la sempre presente minaccia di una ecatombe nucleare e tutto il resto che si sa d’altronde non inducono all’ottimismo. La Terra non è in pericolo, ma lo sono la maggior parte dei suoi abitanti. Dal 1970 al 2014 il 60% degli animali selvatici sulla Terra è stato spazzato via.
La grande estinzione Immaginare ai tempi del collasso (Armillaria ed. 79 pp. 10 euro) dell’antropologo Matteo Meschiari (Modena 1968) è un libro piccolo solo nel formato, entra agevolmente in tasca. Non offre soluzioni facili ma uno strumento alla portata di tutti e potenzialmente sovversivo: l’immaginazione. «Una persona, un gruppo, un popolo senza immaginazione è automaticamente vittima di chi controlla le immagini al posto suo. Per questo immaginare significa fare politica…più sconvolgente del disastro ambientale è la dissoluzione della capacità immaginativa delle persone, senza immaginazione, non ci si salva». L’immaginazione è una tecnologia, che va sviluppata, aggiornata, per far fronte a una minaccia inedita, quella di una apocalisse non posta alla fine dei tempi, ma presente nel nostro orizzonte «perché ovviamente non si tratta di salvare qualcuno, ma di salvare tutti».
Molti segnali indicano che è in atto un cambio di paradigma. La collocazione dell’uomo nel cosmo è cambiata. La natura da morta si è fatta viva e occorre urgentemente reimparare a comunicare con essa. Tanto tempo fa, scrive Meschiari, l’uomo e la donna si sentivano parte di un tutto vivente, piante, animali, fiumi, montagne erano condiderati esseri con una propria personalità. Questo sistema di pensiero è stato chiamato animismo, e in tempi più recenti panpsichismo.
Porsi rispetto alla realtà in una ottica del genere, e raccontarla in libri, film e opere d’arte diventa un atto politico di resistenza alla mercificazione dell’esistente in atto.
«La fiction è uno strumento potentissimo per esercitare il potere, ma è anche lo strumento più efficace per smontarlo: alla fiction del negro monatto violentatore ladro non si risponde sul piano della ragione o delle analisi statistiche, ma su quello della narrazione». In appendice al libro un’ampia selezione di libri e saggi «resistenti».
Ma se fosse ormai tardi per evitare il collasso? In quel caso occorre almeno far sapere «a chi tra 20 o 50 anni starà molto peggio di noi…perché sia vantaggioso donare, dividere il cibo, far giocare un bambino…provare a salvare una ipotesi antropologica, un’idea di donna e di uomo che forse sarà storicamente perdente ma che potrà contrastare il crollo dell’umano, la ferocia sociale, l’estinzione dell’empatia. Cominciando dai bambini. E nell’unico modo possibile. Immaginando».
Forse Franco Berardi Bifo aveva letto questa «Grande estinzione», o forse no, quando ha scritto: «Nelle rivolte in corso sembra essere all’opera una pulsione kamikaze che non possiamo ignorare, se vogliamo trovare vie dí uscita positive. A Hong Kong come a Barcellona,a Baghdad, a Santiago, sembra agire la consapevolezza dell’assenza di un futuro vivibile. Questa consapevolezza ha prodotto fino a ieri un effetto di depressione. Ma ora milioni di giovani si rendono conto che la rivolta dissolve i fumi depressivi. E allora la pulsione suicida può divenire invenzione dell’imprevisto. Quando i fumi depressivi si dissolvono e riprende a pulsare la tensione desiderante collettiva anche il cervello si mette a immaginare possibilità fino a ieri impensate. E diventa allora possibile riattivare il futuro che l’assolutismo capitalista ha distrutto».