A pochi mesi di distanza dal primo lungo lockdown, esce il libro Giorni come Stanze. Riappropriarsi della città della giornalista e curatrice Emilia Giorgi, pubblicato dall’editore Libria e con la grafica dello Studio Folder (pp. 96, euro 14).
Un piccolo volume che racchiude riflessioni, pensieri e immagini, provando a capire com’è cambiata la nostra relazione con lo spazio che abitiamo, sia questo pubblico o privato. In quella quotidianità sospesa, in cui i luoghi delle nostre città sono stati invasi per diversi mesi dal silenzio, in una sorta di «detonazione» prolungata e rallentata, riscoprire questi vuoti, fisici, temporali ed emotivi e tentare di dare loro nuovi significati, tracciando possibili trasformazioni, è l’esercizio d’indagine compiuto da Giorgi nel suo libro.

NON CI SONO punti di arrivo, il percorso si dipana in modo libero nei testi scritti in prima persona, in quel divagare che la pandemia ci ha costretto a fare nostro per sopravvivere al dramma di una realtà ancora oggi incommensurabile.
«Cambiare il punto di vista, rifiutare la frenesia dello spostamento incessante, ci conduce a osservare con nuovi occhi i paesaggi che ci circondano, negli aspetti più nascosti e invisibili, nei momenti più problematici e contraddittori».

CON GRANDE DELICATEZZA l’autrice ci porta in un articolato viaggio fatto di aperture lente, digressioni, interruzioni e ripartenze, composto di una ricca geografia di riferimenti legati all’arte, la musica e il cinema, che permettono di leggere la città attraverso un immaginario scenografico fatto di paesaggi, emozioni e sentimenti.
Insieme ai testi, Giorgi dialoga con otto fotografi, attraverso altrettante sequenze di immagini e narrazioni visive, alcune realizzate durante i lockdown, altre di scatti ancora inediti. Le fotografie di Giovanna Silva, Allegra Martin, Alessandro Imbriaco, Filippo Romano, Gaia Cambiaggi, Antonio Ottomanelli, Delfino Sisto Legnani e Anna Positano ci raccontano la dimensione sospesa della città, fatta di segni, scorci, particolari, luci e ombre, di uno spazio, urbano e domestico, che cambia e assorbe la vita di chi lo abita e di chi lo legge, dentro e fuori dalla pandemia.

«PASSO DOPO PASSO, passeggiata dopo passeggiata, lo spazio del quartiere e della città, lo spazio pubblico si trasforma – o meglio, ciò che si trasforma, è lo sguardo su questo spazio», scrive Christian Caliandro nella sua postfazione. Lo stato di sospensione forzato cui siamo stati sottoposti ci ha permesso di mutare lo sguardo, di generare nuove relazioni con i luoghi e le persone, piccoli semi di possibili nuove pratiche di significazione dello spazio urbano, il nostro spazio.
Un esercizio che Giorgi ci suggerisce di fare, ancora di più oggi, immersi in una nuova fase di distanziamenti e chiusure, per guardare al futuro con occhi diversi, alla ricerca di spazi plurali e aperti, verso dimensioni urbane sempre più condivise e collettive.