Fuochi d’artificio, canti, danze tradizionali e, quando c’è la corrente elettrica, anche luci colorate. Il Tawjihi, l’esame di maturità, è un’occasione che i palestinesi celebrano sempre, in tutte le circostanze, anche quelle più tragiche. Il completamento del percorso scolastico ha ancora valore nella società palestinese.

In particolare a Gaza dove gli studenti e le loro famiglie devono affrontare difficoltà ed ostacoli che si riscontrano in pochi altri posti del mondo. Per Iman Abu Shammala e la sua famiglia la felicità è stata doppia. La ragazza ha ottenuto il 99,7% su 100, risultando la prima degli studenti palestinesi nei Territori occupati.

«Non riuscivo a crederci – racconta – ho abbracciato forte mia mamma e mio padre che mi hanno sostenuta in ogni modo. Per giorni ho ricevuto gli auguri di amici e conoscenti. Dal ministero dell’istruzione mi hanno inviato un messaggio di congratulazioni e un certificato speciale per il mio risultato».

Brava e un po’ secchiona Iman lo è stata sempre, confessa. «Studiare è la mia passione sin da bambina» ammette «mi aiuta a superare le difficoltà, a vincere la depressione per la condizione che viviamo qui a Gaza. Adoro le scienze». Quest’anno il coronavirus ha complicato la vita di studenti ed insegnanti in tutto il mondo. «A Gaza di più», prosegue la ragazza «di solito, specie d’inverno, studiamo accendendo le candele perché non abbiamo quasi mai l’elettricità. E se non hai l’elettricità non puoi usare i computer. Poi è arrivata la pandemia, le scuole sono state chiuse e alcuni insegnanti hanno provato a tenere le lezioni online ma qui a Gaza mica tutti hanno il tablet».

Iman tra qualche settimana comincerà a studiare medicina all’Università islamica. Safaa Sheikh Eleid, sempre di Gaza, che si è classifica seconda, con il 99,4%, nella classifica nazionale del Tawjihi, invece frequenterà la facoltà di letteratura inglese all’università Al-Azhar. Spera di ottenere una borsa di studio per master e dottorato all’estero. «Sono stata più fortunata di tante mie compagne» dice «la mia famiglia può permettersi un generatore autonomo di energia e non ho dovuto studiare con le candele. Un giorno vorrei viaggiare, conoscere il mondo».

I sogni di Iman e Safaa sono quelli di un po’ tutti i ragazzi di Gaza, di qualsiasi condizione: partire, conoscere altri giovani, visitare luoghi lontani, località esotiche. Tuttavia si scontrano con dati economici e statistici sconfortanti. Gran parte della popolazione vive sotto o a cavallo della soglia della povertà.

«Temo che molti ragazzi, e anche Iman e Safaa, siano già consapevoli che solo pochi fra di essi riusciranno a realizzare quei sogni. Gaza è una prigione, sorvegliata da Israele, e le cose non cambieranno presto», commenta Yusef H., reporter 30enne di Gaza. «Non è solo una questione di povertà ed opportunità che mancano» precisa «ottenere un visto per andare negli Usa, in Italia e nel resto dell’Europa è una impresa. Le condizioni che dobbiamo rispettare sono molto rigide.  Non è così per un israeliano».

Il destino delle migliaia di ragazzi e ragazze che quest’anno  hanno conseguito il Tawjihi è quello di ingrossare i ranghi dei disoccupati di Gaza, ai vertici mondiali di questa triste classifica. La disoccupazione tra i giovani 15-29 anni a Gaza era al 65,2% lo scorso anno. E il coronavirus ha aggravato il quadro. Circa 4mila operai hanno perso il lavoro negli ultimi mesi in cui 50 fabbriche hanno chiuso i battenti.

Saracinesche abbassate anche per tanti ristoranti e hotel – frequentati dall’esigua minoranza che può permetterseli – che impiegano oltre 5mila persone. «Il blocco israeliano di Gaza, che dura 14 anni, è la causa della mancanza di lavoro per 250mila persone, in maggioranza giovani. E la pandemia sta aggiungendo a quel numero migliaia di lavoratori ogni mese», avverte Sami al Hamassi, capo della federazione sindacale di Gaza.