La storia dell’Ilva è emblematica della Storia d’Italia. E, in questo contesto, Vendola può considerarsi protagonista e vittima di una fase di questa storia che è anche storia della sinistra.

L’Italsider è nata negli anni Sessanta, inizio dei «trenta gloriosi», per favorire lo sviluppo del sud agricolo. Col mito dell’industria pesante sola portatrice di lavoro e sviluppo e generatrice di insediamenti abitativi affiancati ai siti produttivi per ospitare le famiglie di dipendenti. Una fase con un intreccio perverso ed inestricabile di vita-lavoro-produzione in cui qualità dello sviluppo e della vita non rientravano nei parametri di valutazione economica e sociale. Nel sud soprattutto, perché lì più grande era la sete di sviluppo.

Fu solo dopo una ventina di anni che si cominciò a prendere coscienza dei problemi dell’ambiente e della salute, la «nuova contraddizione», si disse, dopo quella di classe. E, per la sinistra «industrialista» e per il sindacato, non fu facile accettare un ridimensionamento della centralità del lavoro in nome della salute e dell’ambiente.

Fu allora, in una manifestazione «contro» la centrale nucleare che si voleva costruire a Montalto di Castro – alla quale partecipammo come segreteria della Cgil Lazio dopo un difficile e vivace dibattito interno tra le diverse anime del sindacato – che conobbi il giovane Vendola. Intervenne con le capacità oratorie che lo hanno sempre distinto, sostenendo le ragioni dell’ambiente e della salute. Mi colpirono allora la passione e l’intelligenza politica di questo ragazzo che sapeva convincere e trascinare e parlare il loro linguaggio ai tanti giovani presenti. E per il sindacato furono una scossa ed uno stimolo salutare.

Quel ricordo si affaccia oggi che Vendola viene condannato perché avrebbe voluto «ammorbidire la posizione dell’agenzia sulle emissioni e sui danni prodotti dall’Ilva». Lui che aveva fatto della Puglia una regione all’avanguardia nello sforzo di dare alla istituzione locale un ruolo di controllo nel territorio e nella difficile gestione del rapporto lavoro, salute, ambiente.

E lo aveva fatto nel silenzio e nella latitanza di uno Stato che su una materia tanto delicata scaricava il peso delle decisioni sugli enti locali. E in un fase di travaglio che attraversava la sinistra, il sindacato, i cittadini e che turbava la coscienza delle singole persone e dei militanti della sinistra in particolare. Non fu una passeggiata allora cercare di conciliare le ragioni del lavoro con quelle della salute e dell’ambiente, non mancarono contrasti a sinistra e quella esperienza politica originale si dispiegò in quel mare mosso di timori e possibili errori. Poi il tempo aveva fatto maturare le coscienze e, non ultima, la pandemia aveva accresciuto la consapevolezza della «salute innanzitutto».

Anche per questo c’è sgomento oggi a sinistra. Un protagonista di quel travaglio e di quel cambiamento diventa vittima e complice, insieme ai padroni, del disastro ambientale che ha cercato di contrastare. Nel turbamento ci sono le ragioni dell’affetto e della stima per la persona. Ma c’è anche il rischio di altra disaffezione e delusione.

Spero e ritengo molto probabile che in sede di appello le accuse a Vendola possano rientrare. Ma non ci possono e debbono essere dubbi: la sentenza che condanna per disastro ambientale ha un valore che non è esagerato definire storico. Semmai è arrivata con molto ritardo. Ma è un punto di svolta che obbliga a fare le scelte sempre rinviate. Quindi impone che quello sgomento diventi forza. Per affermare: mai più tolleranza contro tutto ciò che produce danni all’ambiente naturale ed umano. Quindi piena responsabilizzazione del nuovo governo perché la sostenibilità, chiave di volta, del Pnrr, divenga scelta operativa immediata. La migliore solidarietà a Vendola consiste nel proseguire la battaglia perché una volta per tutte si avvii la riconversione di quel sito industriale.