La decisione del gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo, che ha accolto l’istanza con la quale il commissario dell’Ilva Piero Gnudi lo scorso 11 settembre chiese lo sblocco delle risorse sequestrate in via preventiva al gruppo Riva nel maggio 2013 dalla magistratura milanese per trasferirle nelle casse dell’Ilva, pari ad 1,2 miliardi, apre nuovi scenari nell’intricata vicenda del siderurgico tarantino. Il sequestro era stato disposto dallo stesso gip su richiesta dei pm Clerici e Civardi: nell’ordinanza di sequestro si leggeva che i fondi «costituiscono il provento dei delitti di appropriazione indebita continuata e aggravata» da parte degli indagati «ai danni della Fire Finanziara spa (oggi Riva Fire), di truffa aggravata, infedeltà patrimoniale e false comunicazioni sociali, oltre che di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di trasferimento fraudolento di valori».

La richiesta di Gnudi si è resa possibile in quanto il 21 agosto è entrata in vigore la legge «Terra dei Fuochi», con la norma che prevede la possibilità di utilizzare i fondi sequestrati in procedimenti diversi da quello per reati ambientali, per il risanamento degli impianti dell’Ilva. Il tutto può avvenire a fronte della richiesta del commissario: la legge impone al giudice di trasferire all’impresa le somme sottoposte a sequestro, entro il 31 dicembre 2014. Per questo il gip di Milano ha respinto l’opposizione avanzata dai legali di Adriano Riva di presunta incostituzionalità della legge «Terra dei Fuochi», sostenendo che sussistono «tutti i presupposti per procedere al trasferimento previsto dalla norma»: i fondi potranno essere utilizzati per il risanamento ambientale dell’Ilva. Il gip ha disposto che i beni sequestrati siano convertiti in azioni «a titolo di futuro aumento di capitale» dell’Ilva, spiegando che «le azioni di nuova emissione dovranno essere intestate al Fondo unico giustizia e, per esso, al gestore ex legge Equitalia Giustizia spa».

La decisione del gip di Milano è stata accolta con entusiasmo sia da Gnudi che da governo e sindacati. Fino a ieri proprio la mancanza di risorse era alla base del mancato avvio dei lavori previsti dall’Aia del 2011 riesaminata nel 2012 e rivista nei tempi di attuazione dal Piano ambientale approvato in aprile dal governo. E l’ingente somma prevista per i lavori è stata sino ad oggi uno dei maggiori ostacoli nella trattativa con i possibili nuovi proprietari dell’Ilva (con in pole i gruppi ArcelorMittal e Marcegaglia), con i quali Gnudi è in trattativa da mesi.
In tanti però dimenticano una serie di circostanze che potrebbero mandare all’aria i piani di Gnudi e del Governo. In primis, il quasi certo ricorso dei legali di Adriano Riva nei confronti della decisione del gip, che potrebbe congelare la situazione a lungo. Entrare in possesso dei fondi sequestrati, poi, è tutt’altro che agevole: non a caso ieri a Roma Gnudi ha incontrato il ministro dell’Ambiente Galletti, mentre gli avvocati Ilva hanno contattato gli uffici del gip D’Arcangelo. Il «malloppo» si trova nelle casse delle banche svizzere Ubs e Aletti (gruppo Banco Popolare) ed è intestato ad otto trust domiciliati sull’isola di Jersey, paradiso fiscale sotto la sovranità della corona inglese. Le risorse liquide ammonterebbero a non più di 800 milioni. Non sarà un’operazione semplice ottenere quelle risorse per poi farle confluire nel Fondo gestito da Equitalia. Infine, lo Stato con questa operazione interviene nella gestione di un’azienda privata anche se commissariata, ledendo il principio europeo della concorrenza leale. E non risarcisce Taranto e i tarantini dei danni e del dolore protratto in decenni di inquinamento.