La proroga della vendita Ilva spariglia le carte di una vertenza sempre più intricata e piena di colpi di scena. La decisione di Luigi Di Maio – scaricata sui commissari – di allungare la gestione statale al 15 settembre di martedì sera è sicuramente frutto di una posizione di difficoltà da parte del neo ministro: appena insediato aveva spiegato ai suoi – specie tarantini – di voler decidere subito. L’ascolto in due giorni di tutte le parti coinvolte – sindacati, amministratori locali, ambientalisti e azienda – aveva portato ad una brusca frenata e al realismo: difficile districare la mattassa Taranto in poco tempo.
Ecco allora la proroga sfruttando una clausola del contratto firmato da Carlo Calenda con Mittal. E il dietrofront dei tre commissari: fino a qualche settimana fa premevano sui sindacati perché firmassero l’accordo Calenda perché diversamente sarebbero finiti i soldi in cassa e ora invece sostengono che i soldi bastano per arrivare a settembre.
Le parole di Di Maio di martedì sul voler «onorare i risultati straordinari del M5s a Taranto» lasciavano trasparire le pressioni di parlamentari e consiglieri eletti. Gli stessi che ieri hanno chiesto all’Usb – il sindacato a loro più vicino – di indire uno sciopero per chiedere di chiudere e riconvertire l’acciaieria. Alla tesa riunione del consiglio di fabbrica ieri mattina si è arrivati invece ad un doppio compromesso: i delegati Usb hanno chiesto un referendum sulla chiusura che è stato respinto dalla stragrande maggioranza degli Rsu, mantenendo però almeno per ora l’unità sindacale. Dall’altra parte le pressioni della Fim Cisl – orfana di Calenda – per aumentare la pressione su Di Maio sono state calmierate nella decisione di «autoconvocarsi il 4 luglio sotto il ministero per essere ascoltati da Di Maio» per «conoscere la reale posizione del governo sull’Ilva senza fraintendimenti e con chiarezza».
Ma nel pomeriggio di ieri proprio Mittal è sembrata aprire alla modifica dell’accordo come auspicato dalla Fiom e da tutti i sindacati. In una nota il colosso franco indiano che dal primo luglio poteva entrare in Ilva da padrone commenta la frenata di Di Maio con parole molto caute – «prende atto del posticipo al 15 settembre per il completamento dell’acquisizione di Ilva», prolungamento dei termini «previsto dal contratto siglato con il governo italiano» – e apre ad una riapertura della trattativa arenata sui 4mila esuberi non riassunti da Mittal (10 mila invece che 14) «riaffermando il suo impegno a raggiungere un accordo soddisfacente con i sindacati per costruire soluzioni condivise e sostenibili per Ilva», «confermando la determinazione per il rilancio da un punto di vista industriale, ambientale e sociale».
L’impressione è che Di Maio pensi di imporre a Mittal condizioni più stringenti dal punto di vista ambientale per potersi coprire con il M5s a Taranto e tutti i 14mila assunti per soddisfare i sindacati, studiano nel frattempo il dossier «di 23mila pagine» per capire se il No di Mittal possa portare allo stop della vendita (e al cambio di orizzonte: ritorno di Jindal o riconversione) senza che i franco indiani abbiano possibilità di vincere un ricorso.