È Piero Gnudi il nuovo commissario dell’Ilva di Taranto. Lo ha deciso ieri il Consiglio dei Ministri, che ha posto fine al mandato di Enrico Bondi, nominato dal governo Letta un anno fa. Bolognese, classe 1938, attuale consigliere economico del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi ed in passato presidente del collegio sindacale della sua azienda di famiglia, è stato presidente dell’Enel e ministro senza portafoglio durante il governo Monti. Ma soprattutto a partire dal 1994 ha fatto parte del Cda dell’IRI, ricoprendovi (dal 1997 al 1999) l’incarico di sovrintendere alle privatizzazioni e (dal 1999 al 2000) la carica di presidente ed amministratore delegato; sempre presso l’Iri ha svolto (dal 2000 al 2002) le funzioni di presidente del comitato dei liquidatori.

Gnudi ha recitato un ruolo importante nella privatizzazione dell’ex Italsider che il gruppo Riva acquistò nel 1995. Fino al novembre 2011 ha fatto parte del Cda di Unicredit, una delle banche attualmente più esposte nei confronti dell’Ilva, che per la Centrale rischi di Bankitalia ammonta a 200 milioni di euro. Gnudi è stato anche membro del direttivo di Confindustria. L’uomo giusto al posto giusto, verrebbe da dire.
Il siluramento di Bondi, che ieri ha salutato i dipendenti con un comunicato di poche righe, è stata una mossa politica più che economica, specie dopo la bocciatura della proposta di piano industriale da parte del gruppo Riva, delle banche e di Federacciai. Bondi aveva previsto perdite per un miliardo di euro sino all’estate del 2016, termine di scadenza del periodo di commissariamento.

Allo stato attuale, il rischio che gli stipendi di luglio non vengano pagati è più che un’ipotesi. A fronte di una situazione finanziaria alquanto critica dell’azienda, per evitare l’amministrazione controllata ed il probabile fallimento, da giorni il governo ha iniziato a lavorare alla costituzione di una cordata per rilevare la maggioranza delle azioni dell’Ilva Spa. In questo modo si vuole aprire le porte ad un aumento di capitale di almeno 1,8 miliardi di euro secondo le stime di Bondi. Ce ne vorrebbero in tutto 4 per effettuare i lavori di risanamento degli impianti e mantenere in vita l’azienda. Un’operazione del genere abbisogna di tempi lunghi, non certo di giorni o di qualche settimana.

Per il neo commissario «la cosa più importante da fare è trovare nuovi azionisti, perché in questo momento Ilva non ha un azionariato». Gnudi ha tuttavia escluso la possibilità di una prossima chiusura dell’azienda: «Non è un’ipotesi presa in considerazione». È però indubbio che il suo compito si presenti complesso. La speranza del Governo è che un uomo amico dell’esecutivo e del mondo industriale e bancario italiano, possa riuscire nell’immediato lì dove Bondi ha fallito: convincere gli istituti di credito a concedere all’azienda un prestito ponte di 7-800 milioni di euro, per garantire l’ordinaria amministrazione nei prossimi due mesi.

Con l’uscita di Bondi vacilla la posizione del sub commissario Edo Ronchi il cui mandato scade il 15 giugno. La sua conferma spetta al ministro dell’Ambiente Galletti. Ronchi ieri ha messo le mani avanti rispetto al suo futuro: «Vedo remota, per ora, la possibilità di una mia permanenza all’Ilva. Prima devo verificare e accertare il contesto operativo, capire se ci sono i soldi e quanti per il piano ambientale». I sindacati metalmeccanici masticano amaro. Loro premevano per una riconferma di Bondi perché nel piano industriale non vi era traccia di consistenti esuberi strutturali o dismissioni forzate di impianti e reparti. Eventualità che con una nuova cordata ed un nuovo piano industriale, nessuno può escludere.