A sei anni dal sequestro degli impianti, a cinque dal commissariamento e ad oltre tre dal passaggio in amministrazione straordinaria, il futuro del più grande gruppo industriale italiano, l’Ilva, è ancora profondamente incerto. Dopo che lo scorso giugno la new.co Am InvestCo Italy guidata dal colosso mondiale ArcelorMittal si aggiudicò il bando di gara internazionale per l’acquisizione del gruppo, in molto pensarono, erroneamente, che la strada verso una nuova epoca fosse spianata: niente di più sbagliato.

NON SONO INFATTI bastati ben otto mesi di trattative, conditi da 32 incontri al MiSe, per trovare la quadra sul piano industriale presentato da ArcelorMittal e rifiutato a più riprese dai sindacati. Dopo mesi di tira e molla, di proposte e controproposte, giovedì è andata in onda l’ultima puntata di una soap opera infinita, che non ha visto né vincitori né vinti. Una trattativa inoltre oramai delegittimata, per gran parte del fronte sindacale, dal fatto che il ministro Calenda rappresentasse un governo delegittimato, se non nelle funzioni quanto meno nei poteri, dal voto dello scorso 4 marzo.

IL MINISTRO CALENDA e i sindacati, giovedì hanno dato vita all’ultima estenuante trattativa conclusasi con l’ennesima rottura tra le parti. Sul tavolo, la proposta ‘prendere o lasciare’ di governo e ArcelorMittal: 10mila lavoratori riassunti sugli attuali 13700 con l’impegno a non licenziare per i primi 5 anni, più altri 1500 da assumere in una nuova società creata da Invitalia e Mittal per gestire appalti come il servizio mensa e pulizie industriali, trasformandoli di fatto in estrnalizzazioni; infine, 2300 lavoratori da ‘lasciare’ in Ilva in Amministrazione Straordinaria guidata dai commissari, con la possibilità di 5 anni in cig più una dote finanziaria di 200 milioni per incentivare la mobilità volontaria.

NUMERI VALIDI però, soltanto sino al 2023. Così come previsto dal contratto firmato lo scorso giugno da Mittal e governo, il piano industriale prevede che dal 2024 gli addetti di Taranto scenderanno a 8484 unità. Numeri respinti dai sindacati, per i quali non è stato possibile conoscere come avverrà, ad esempio, la scelta sui 10mila da riassumere, né i reparti coinvolti da esuberi. Una trattativa troppo al buio per chi dovrà poi andare a spiegare ai lavoratori, che da lunedì si riuniranno in assemblea, quale futuro li attende.

IL 2023, tra l’altro, sarà l’anno entro il quale Mittal dovrà ottemperare a tutte le prescrizioni presenti nel piano ambientale (sul quale governo ed enti locali hanno a lungo discusso), come ribadito lunedì dalla Commissione Ue per la concorrenza, che ha dato l’ok all’intera operazione, condizionandola però alla cessione di diversi impianti in Europa di proprietà di Mittal, onde evitare il rischio di alterare il mercato dei laminati piani.

COSA ACCADRÀ adesso? Gli scenari sono diversi. Molto, se non tutto, dipenderà da ciò che accadrà a livello politico: se la Lega e Movimento5Stelle formeranno un nuovo governo, la trattativa sarà portata avanti da un nuovo ministro dello Sviluppo economico. Facile a dirsi, se non fosse che i due partiti, almeno sino a ieri, sulla questione avevano idee diametralmente opposte. La Lega, partito conservatore e reazionario che nel corso degli ultimi 20 anni ha conquistato il voto degli operai del Nord, ha subito detto che la chiusura dell’Ilva è una follia. Il Movimento5Stelle invece, da anni porta avanti una battaglia opposta: chiusura delle fonti inquinanti, riconversione economica del territorio, bonifiche attraverso fondi europei, sfruttamento delle energie rinnovabili.

NON SOLO: è bene ricordare che a Taranto 1 cittadino su 2 ha votato 5stelle alle ultime politiche, così come tantissimi operai Ilva, eleggendo ben 5 parlamentari. Un dato politico di cui Di Maio non potrà non tener conto. Come si concilieranno le posizioni è difficile dirlo. Anche se nella serata di ieri i due partiti hanno annunciato un’intesa su 10 punti, tra cui il dossier Ilva, che non prevederebbe la chiusura: tesi poco dopo smentita dal M5S.

IL TUTTO è inoltre condizionato dai freddi numeri: entro il 30 giugno l’Amministrazione Straordinaria terminerà le risorse stanziate dal governo per l’Ilva. Sempre il 30 giugno scadrà la possibilità di raggiungere un accordo tra Mittal e i sindacati: perchè se è vero che nel bando era specificato che l’accordo sindacale fosse vincolante per l’acquisizione definitiva, è altrettanto vero che dal 1 luglio Mittal potrà procedere direttamente con le assunzioni senza passare dall’accordo sindacale.

I COLPI DI SCENA dunque non sono finiti. Anche perchè ieri è circolata la notizia che lunedì al MiSe si ritroveranno al chiuso governo, commissari straordinari e sindacati nazionali: forse l’ultimissima possibilità di arrivare un accordo. Forse.