Otto mesi di trattativa senza costrutto e tante frenate. Oggi finalmente si affronta – ma il condizionale, visti i precedenti, è d’obbligo – il nodo decisivo: gli esuberi. La vendita di Ilva alla cordata AmInvestCo è una partita così complicata e giocata su talmente tanti tavoli da essere quasi indecifrabile. A rallentarla hanno influito di certo i risultati elettorali che portano alla stranezza che a condurre la trattativa ci sia un governo dimissionario la cui legittimità a portarla avanti viene messa in dubbio dallo stesso presidente della Regione più coinvolta – quel Michele Emiliano che non passa giorno senza litigare col suo compagno di partito Carlo Calenda. Dall’altra c’è Arcelor Mittal, il gigante franco-indiano in attesa del via libera da parte dell’antitrust Ue all’acquisto che dovrebbe arrivare a maggio.

Nel mezzo ci sono 14 mila lavoratori del gruppo che continuano ad assistere ad una commedia delle parti: a ogni riunione del tavolo al ministero dello Sviluppo il governo parla di «passi avanti», i sindacati di «riunione interlocutoria con molti problemi». L’ultima si è tenuta martedì e doveva essere risolutiva per la questione «modello salariale». Si è chiusa invece con la conferma della volontà della nuova proprietà di ridefinire tutto il salario accessorio o «premio di risultato» – che in Ilva in media vale 5 mila euro l’anno – proponendo un taglio di almeno 3 mila euro.

Da parecchie riunioni ormai il fantasma della rottura aleggia su via Molise dove il viceministro Teresa Bellanova sembra una sacerdotessa Vudù che cerca di scacciare i cattivi presagi.

In più c’è il non trascurabile tema della continuità aziendale: Arcelor Mittal sostiene che (sempre) l’antitrust europeo impone di riassumere tutti i dipendenti e per dimostrarlo oggi dovrebbe produrre il documento – finora inedito – che glielo impone e che i sindacati contestano.

Oggi però si deve affrontare il tema esuberi. Il piano accettato dal governo prevede l’assunzione di 10 mila dipendenti lasciando 4 mila lavoratori in carico alla amministrazione straordinaria che dovrebbe utilizzarli per compiere le bonifiche ambientali.

Una posizione inaccettabile per tutto il fronte sindacale che rimane inamovibile sulla linea «esuberi zero». Difficilmente Arcelor Mittal si sposterà oggi e toccherà al governo trovare qualche stratagemma per aggirare una rottura evidente nei fatti.

Una rottura già data per scontata a Genova e che fa riaffiorare le divisioni sindacali. È bastato l’annuncio delle assemblee convocate proprio per domani a Cornigliano per far andare su tutte le furie Fim e Uilm. La Fiom a Genova ha percentuali bulgare e il regolamento delle Rsu le consente di convocare da sola le assemblee. A Taranto invece un comunicato unitario le ha già previste per il 2 maggio. Ma i toni di entrambe le note non sono molto diversi: i sindacati locali criticano i risultati del tavolo nazionale e si preparano alla mobilitazione.