Proseguono senza soluzione di continuità le riunioni a Palazzo Chigi e nei vari ministeri interessati per trovare il bandolo della matassa della vicenda Ilva. La decisione sul che fare dovrebbe essere trovata nel giro di qualche giorno: venerdì è infatti in programma il consiglio dei ministri dal quale dovrebbe uscire la soluzione finale. Il cui obiettivo è stato chiarito ancora una volta ieri, sia da esponenti del governo che dai sindacati: la priorità è salvare i posti di lavoro e la continuità produttiva del siderurgico tarantino, evitando in questo modo il blocco degli impianti.

Per far sì che ciò avvenga, però, è imprescindibile reperire i fondi necessari per avviare i lavori di risanamento sui vari impianti dell’area a caldo dell’Ilva previsti dall’Aia dello scorso ottobre.

E proprio venerdì arriverà da Taranto la seconda relazione trimestrale dei tecnici Ispra, in questi giorni all’Ilva per effettuare una seconda ispezione che dovrà accertare lo stato di attuazione delle prescrizioni.

Soltanto una volta avuto il quadro completo sullo stato reale in cui versano gli impianti dell’Ilva, si avrà contezza delle risorse da investire. Che certamente non saranno quelle del gruppo Riva, improvvisamente diventato per istituzioni e sindacati un interlocutore «non credibile».

A ribadire il concetto ieri, il ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato, che a margine del Consiglio europeo sulla Competitività ha dichiarato che bisogna «fare in modo che chi risana non sia chi ha inquinato: uno dei problemi è la credibilità del risanatore».

Come fare quindi per far sì che lo Stato risani un’azienda ancora oggi privata? Dal punto di vista legale, ambienti governativi ipotizzano il ricorso alla legge Marzano varata nel 2004, che contiene misure per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza. Condizione in cui attualmente l’Ilva non è: ecco perché si sta pensando ad allargare l’applicazione della legge, attraverso un nuovo decreto, alle aziende in «crisi ambientale».

La legge Marzano prevede poi l’accesso ad una procedura di amministrazione straordinaria con un commissario che ha 180 giorni di tempo, più una possibile proroga di 90 giorni, per il piano di ristrutturazione. Commissario che potrebbe essere lo stesso Enrico Bondi, nominato direttamente dal governo, all’indomani del Cda dell’Ilva del prossimo 5 giugno che però dovrebbe accettare le dimissioni dell’ad.

Questo perché in molti si sono accorti che la legge 231/2012, la «salva-Ilva», ha tempi di applicazione troppo lunghi: prima di arrivare infatti all’amministrazione straordinaria è necessario accertare i ritardi nell’applicazione dell’Aia, poi irrogare la sanzione (fino ad un decimo del fatturato). Solo dopo si può giungere alla nomina dell’amministratore straordinario: in questo modo andrebbero via mesi.

Dal punto di vista economico invece, la strada appare segnata: prestiti dalle banche, intervento della Cassa Depositi e Prestiti e gli aiuti del piano Ue sulla siderurgia.