Un incontro interlocutorio che non è servito a fare chiarezza e ad allontanare paure e timori su ciò che accadrà nelle prossime settimane. Soprattutto, un incontro dal quale è emersa ancora una volta la grande confusione che regna nel governo sulla vicenda dell’ex Ilva. Ieri al MiSE, il ministro dello sviluppo economico Pautanelli ha ribadito ai sindacati dei metalmeccanici Fiom, Fim e Uilm, che la posizione del governo «è chiara: non esiste un’idea di piano industriale del Paese senza la siderurgia».

Tanto da dichiarare che «siamo intenzionati a garantire la continuità produttiva, chiederemo all’azienda di rispettare piano industriale e ambientale. Non possiamo abbandonare la produzione dell’acciaio. La siderurgia è fondamentale per Taranto e tutto il Paese».
Messaggi chiari dunque: il Conte bis non ha alcuna idea di chiudere il siderurgico tarantino. Ma Patuanelli, al cui fianco c’era il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, si è spinto oltre.

Di fronte alle domande dei sindacati sulle eventuali problematiche derivanti dalla soppressione dell’art. 14 del dl Imprese, che riguardava l’esimente penale per i gestori dell’ex Ilva (è però rimasta in vigore la norma riscritta nel decreto Crescita, ndr), ha dichiarato che «laddove vi fossero ragionamenti complessivi che non riguardano solo Taranto (una norma specifica non avrebbe tenuta parlamentare), se ci fossero dubbi sul fatto che l’applicazione di una norma possa portare ad azioni giudiziarie, sarà chiarita l’applicazione di questo dispositivo. Una norma di ampio respiro potrà essere presa in considerazione se necessario, l’azienda non ha posto questo problema».

Il che dimostra come l’approvazione dell’emendamento in questione, sia stata una forzatura dei senatori dei 5s, che avevano messo sul tavolo la possibilità di non votare la fiducia del testo in aula al Senato. Resta da capire cosa deciderà ArcelorMittal Italia, ora nelle mani della nuova ad e presidente del Cda, Lucia Morselli.

Nell’incontro di ieri è stato confermato il vertice informale di martedì tra Patuanelli e il neo ad. Che ha messo a conoscenza il ministro della situazione economica dell’azienda: 150 milioni di perdite a trimestre, quasi 2 milioni al giorno, produzione che toccherà i 4,5 milioni di tonnellate d’acciaio alla fine dell’anno, a fronte dei sei previsti dal piano industriale. Dati legati alla crisi economica del mercato europeo dell’acciaio e ai dazi imposti dagli Usa, che hanno portato l’azienda a mettere in cassa integrazione quasi 1.300 lavoratori da luglio a fine dicembre.

Che potrebbero aumentare qualora non venga chiarita la questione delle tutele legali per l’azienda, che non si fida più di un governo che ha già cambiato tre volte idea sul tema. Da cui dipende l’attuazione del Piano Ambientale: in molti temono che Morselli possa proporre un nuovo tetto massimo al ribasso per la produzione, pari a 4 milioni annui; oppure avanzare l’ipotesi di una chiusura parziale dell’area a caldo. Il tutto determinerebbe esuberi tra le 4 e le 5mila unità: da qui a rivedere i costi di affitto degli impianti ex Ilva il passo è brevissimo.

Eventualità che i sindacati vogliono a tutti costi evitare. Di tutto questo si discuterà in un prossimo vertice da tenersi entro la prima metà di novembre.
«L’obiettivo del tavolo è quello della verifica del rispetto dell’accordo sul piano industriale, sul piano ambientale e sulla salvaguardia dell’occupazione” ha dichiarato Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil.

«Il ministro Patuanelli ha riferito che il tema dell’immunità, peraltro non in discussione per quanto riguarda le responsabilità precedenti, non è mai stato posto dall’azienda. Riteniamo che il Governo debba farsi garante di un quadro di certezze normative e del rispetto degli accordi con l’obiettivo di produrre acciaio pulito e di garantire il controllo del piano ambientale e l’occupazione dei lavoratori diretti e dell’indotto di tutto il gruppo».