Già vedere dei sindacalisti entrare a palazzo Chigi fa uno strano effetto. Con il governo Renzi è successo rarissimamente – solo per firmare qualche accordo a chiusura di lunghe vertenze (Electrolux nel maggio 2014) o negli storici 106 minuti pre manovra 2015 – con il governo Gentiloni qualche volta in più ma di solito a porte chiuse e riservati – l’ultimo con Susanna Camusso per illustrare il decreto che rendeva inutili i referendum, poi beffato dal ritorno dei voucher.

Anche in questa occasione la tempistica è beffarda. Fiom, Fim e Uilm hanno contestato al governo di non aver rispettato i patti: l’assegnazione alla cordata doveva avvenire dopo l’incontro in cui il ministro Calenda avrebbe dovuto illustrare i due piani. I commissari invece avevano già annunciato il verdetto e Calenda ha detto sostanzialmente di non poterlo modificare. La proposta di Acciaitalia – guidata dagli indiani di Jindal – garantiva molti più posti di lavoro sia all’inizio che a conclusione della procedura e puntava su tecnologie – il preridotto e la gassificazione – meno impattanti dal punto di vista ambientale.

L’incontro a palazzo Chigi invece è arrivato a decisioni prese e immodificabili: l’Ilva è della cordata Am Ivestco guidata dal gigante indiano-francese Arcelor Mittal semplicemente perché la sua offerta era migliore dal punto di vista economico. Ieri allora per indorare la pillola ai sindacati Gentiloni e Calenda – il vero tessitore e protagonista dell’incontro – hanno promesso totale ascolto e supporto alle richieste dei rappresentanti dei 14.200 lavoratori del gruppo Ilva, da Genova a Taranto. Il primo successo governativo è la promessa di Am Investco di aumentare le assunzioni immediate dalle 9.407 contenute nell’offerta (già ritoccata dalle iniziali 8.480) a quota 10mila. Il computo degli esuberi dunque si riduce da quota 5.500 a 4.200. E che da fine giugno partirà un tavolo al ministero dello Sviluppo con cordata vincitrice, governo e sindacati per migliorare il piano sotto gli aspetti occupazionali. «Ora siamo in un percorso sul quale il governo sta mettendo tutto il proprio peso, un percorso capace di garantire in termini occupazionali, salute e ambiente», ha sintetizzato Gentiloni prima di lasciare campo libero a Calenda.

I sindacati però chiedono molto di più. La linea unitaria è quella riassunta dall’espressione «nessun esubero». Perché tutti i 14.200 dipendenti del gruppo vengano riassunti serve per prima cosa che a Taranto si ritorni alla capacità produttiva pre-crisi: 10 milioni di tonnellate annue. E qui le promesse di Arcelor sono molto vaghe. In più c’è l’impegno del governo a non abbandonare nessuno ma garantire gli ammortizzatori sociali, se non un lavoro nell’ambientalizzazione della città di Taranto. Il tutto però rimanendo nella bad (o old) company che i commissari dovrebbero chiudere nel 2026 (anche se il governo ha prospettato una modifica della legge Marzano per allungare i tempi).

La posizione dei sindacati è invece diversa: l’ambientalizzazione esterna all’acciaieria può andare bene per le ditte dell’indotto, non per i dipendenti diretti del gruppo. Evitando che l’aumento di assunzioni sia legato ad un calo del costo del lavoro.

L’altro punto dirimente è quello della compagine azionaria. Oramai è il segreto di Pulcinella: il gruppo Marcegaglia venderà il suo 20 per cento se non ad Arcelor Mittal – per i vincoli dell’Antitrust europea – probabilmente a Banca Intesa, per ora solamente partner finanziario della cordata.

A sollevare il tema dell’italianità svanita è stato Maurizio Landini. Il segretario della Fiom lo ha legato alla situazione generale della siderurgia in Italia. Oltre ad Ilva è finita in mani straniere anche la ex Lucchini di Piombino. Ma anche lì il nuovo compratore – l’algerino Rebrab – è in grande difficoltà. Perché quindi non pensare ad un intervento pubblico da parte di Cassa Depositi e Prestiti che faceva parte della cordata sconfitta di Acciaitalia?

La risposta del governo è stata interlocutoria, ma quasi certamente negativa. «Le difficoltà legislative e i vincoli comunitari rendono molto difficile immaginarie un intervento di Cpd», ha risposto Calenda.
Su Genova – già epicentro delle proteste e degli scioperi – l’impegno del governo per Cornigliano è quello di rispettare l’accordo di programma sottoscritto con Regione e Comune. Ma anche qui i conti sugli esuberi non tornano totalmente.