Lo scontro istituzionale sul futuro dell’Ilva aumenta d’intensità. Nonostante le pressioni del governo e dei sindacati – sebbene con posizioni di merito molto distanti – il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano non ritirerà il ricorso al Tar. Anzi, la sua controproposta al governo è secca: «Se il governo vuole evitare il giudizio ritiri l’atto impugnato – il decreto della presidenza del consiglio che ha modificato il piano ambientale per Taranto allungando i tempi e togliendo il riferimento al danno ambientale – e lo corregga secondo le indicazioni della Regione e del Comune avviando il processo di decarbonizzazione».
Per la prima volta poi Emiliano ha in qualche modo esplicitato la sua idea: ripescare la cordata Acciaitalia – composta da Jindal e dalla finanziaria Delfin di Leonardo Del Vecchio con Cassa depositi e prestiti e Arvedi – sconfitta nella gara a due nella scelta del governo dello scorso giugno. «Abbiamo impugnato il nuovo Piano ambientale in quanto non risultano le ragioni per le quali il ministero dello Sviluppo economico ha preferito la società Am InvestCo (la cordata guidata da Arcelor Mittal, ndr) e ha escluso l’altra cordata facente capo a Jindal che indirizzava la fabbrica verso la decarbonizzazione negli anni futuri e abbatteva fin da subito della metà le emissioni».
Per ribadire la necessità di gassificare da subito l’acciaieria tarantina, Emiliano ricorda la scadenza imposta dall’accordo sul clima: «Ricostruire i gruppi ex novo a carbone come previsto da ArcelorMittal significa non decarbonizzare mai più l’Ilva neanche nel 2050, data limite prevista dal trattato di Parigi».
Su questa linea rimane anche il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, anch’egli del Pd come Emiliano, fatto che crea non poco imbarazzo nel partito, ieri silente sulla questione.
La partita dunque diventa sempre più intricata. Il ministro Calenda martedì aveva annunciato lo stop alle trattative in vista del verdetto del Tar di Lecce. Un verdetto che potrebbe farsi attendere per mesi visto che il primo esito sarà certamente appellato al Consiglio di Stato.
Per questo ieri è arrivato anche la scontata nota di «preoccupazione» di ArcelorMittal: «In consonanza con le dichiarazioni del governo – si legge – ricordiamo che l’investimento di 2,3 miliardi di euro previsto migliorerà le performance industriali e ambientali dell’impianto di Taranto – sottolinea la nota – ed è un vero e grande peccato che la nostra volontà e capacita’ di realizzare tali investimenti possano essere pregiudicate da questo ricorso».
La trattativa fra Arcelor Mittal e i sindacati in questi mesi è già stata molto complicata. Partita con la «furbata» – avallata dai commissari governativi di Ilva – del taglio del costo del lavoro, ha già avuto passaggi assai complicati come quelli su Genova – i lavatori di Cornigliano hanno dovuto occupare la fabbrica per ottenere un tavolo specifico sulla loro città e i 400 esuberi previsti in deroga al Accordo di programma del 2005 – e si preannuncia ancora molto difficile per la volontà dei sindacati di azzerare i 4mila esuberi ancora previsti.
Su tutta la vicenda poi pesa un altro verdetto: quello dell’Antitrust europeo che potrebbe presto dichiarara Arcelor Mittal in posizione dominante, mandando a monte l’intera operazione.
Sul fronte sindacale oggi Fim e Uilm manifesteranno davanti alla Regione Puglia: «Chiederemo di essere ricevuti con una delegazione dall’assise regionale per rappresentare le preoccupazioni dei lavoratori alla luce delle ultime scelte della Regione», spiegano i due sindacati.
A difendere la posizione di Emiliano invece c’è l’Usb e il segretario dei Verdi Angelo Bonelli.