Indennizzi per chi si ammala o muore di inquinamento, e la costruzione di due linee a gas per la produzione di acciaio come punto di partenza di un più ampio processo di decarbonizzazione dell’Ilva di Taranto: sono alcuni dei punti chiave contenuti nei 21 articoli e 50 pagine di allegato che compongono l’Accordo di programma che ieri Regione Puglia e Comune di Taranto hanno inviato al governo dal quale sperano di essere convocati. L’obiettivo è raggiungere una intesa a fronte della quale gli enti locali si impegnano entro 20 giorni, come precisato nell’articolo 18 dell’Accordo, a ritirare i ricorsi contro il Piano ambientale per l’acciaieria messo a punto nel Decreto del presidente del Consiglio (Dpcm).

Secondo valutazioni tecniche, gli interventi inseriti nell’Accordo di programma costerebbero alla cordata che si è aggiudicata lo stabilimento, l’Am Investco (Ami), circa due miliardi di euro. Mentre quelli a carico dello Stato ammonterebbero a circa tre miliardi. Gli enti locali chiedono siano portati a termine entro il 2020. Secondo quanto previsto nella proposta di Accordo, dunque, la produzione di acciaio sarebbe contenuta, fino al 2023, a cinque milioni di tonnellate l’anno, a fronte delle nove per cui ora l’Ilva è autorizzata.

È l’articolo 12 a parlare esplicitamente di decarbonizzazione, mentre nell’allegato si precisa la strategia di Regione e Comune. Gli enti locali, infatti, piuttosto che ristrutturare l’Altoforno 5 attualmente fermo, chiedono la realizzazione di una o due linee di produzione a gas, con la tecnologia Dri (Direct reduced iron). Gli staff tecnici evidenziano che l’Altoforno 5 è stato realizzato nei primi del ‘900 con una tecnologia giapponese che è ormai obsoleta, e che il suo potenziale produttivo raggiunge il 50% dell’intera Ilva. Una quantità che potrebbe essere realizzata dalle due linee a gas, ognuna delle quali sarebbe in grado di produrre 2,5 milioni di tonnellate di acciaio l’anno.

Tra gli interventi di efficientamento, inoltre, gli enti locali chiedono la risoluzione entro sei mesi del Fenomeno di slopping, cioè quelle nuvole rosse sprigionate dai camini dell’acciaieria «almeno 200 volte l’anno». È invece l’articolo 17 quello in cui si specifica la necessità di prevedere indennizzi e tutele per i soggetti interessati da malattie o da decessi correlati all’inquinamento dell’acciaieria. Anche per questo si chiede, tra l’altro, l’inserimento del ministero della Sanità nell’Organismo di vigilanza e controllo, l’applicazione della legge pugliese sulla Previsione del danno sanitario (Vds), e l’esecuzione della Viaas, la Verifica dell’impatto ambientale e sanitario per l’area che, evidenziano i tecnici di Regione e Comune, «sarà fatta per la prima volta».

Tra le altre richieste, poi, ci sono l’inserimento di «filtri a maniche» nell’Area agglomerazione, «cioè quella dove si agglomera il carbone e si produce diossina»; e la copertura con bonifica dei suoli e pavimentazione di tutti i parchi Minerari e della Grf, l’Area gestione rottami ferrosi.

Nella giornata di ieri, proprio nella Grf, si è verificato un incidente per fortuna non grave: la reazione in una paiola, grosso contenitore di scorie ferrose prodotte dall’acciaieria, ha creato una esplosione dovuta al contatto tra il materiale incandescente e l’acqua. Un operaio, che svolge le mansioni di capo turno ed era nella cabina da cui effettuava l’operazione di svuotamento, ha riportato – secondo fonti sindacali – ustioni superficiali al collo e alle mani ed è stato medicato nell’infermeria dello stabilimento. Per questo gli Rls, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza di Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto un incontro alla direzione dello stabilimento e la messa in opera di misure più stringenti di sicurezza.