Riprenderà quest’oggi presso il tribunale di Taranto, il processo «Ambiente Svenduto» sul presunto disastro ambientale prodotto dall’Ilva. Vedremo se ci saranno nuovi stop oppure il dibattimento potrà finalmente riprendere senza più intoppi: l’idea della Corte d’Assise è quella di procedere al ritmo di due-tre udienze alla settimana, nella speranza di poter giungere al giudizio di primo grado entro un anno.

Intanto è stato aperto un nuovo fascicolo d’indagine da parte della Procura di Taranto sulle attività dell’Ilva. A finire nel registro degli indagati due ex direttori dello stabilimento nell’epoca Riva, Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo, indagati per l’ipotesi di reato di traffico illecito di rifiuti. L’inchiesta, condotta dal pm Lanfranco Marazia, riguarda quattro spedizioni transfrontaliere di rifiuti costituiti dalla loppa d’altoforno (un sottoprodotto della lavorazione dell’acciaio) verso il Brasile, effettuate nel 2012, che sarebbero avvenute «in assenza delle garanzie e delle formalità previste dalla normativa dello Stato ricevente». La prima spedizione di 50mila tonnellate risale al giugno 2012, un mese prima del sequestro senza facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo e dei primi arresti dell’inchiesta «Ambiente svenduto». Altre due spedizioni avvenirono a settembre (di 50mila e 70mila tonnellate), l’ultima a novembre (50mila tonnellate).

Entrambi gli indagati, in merito a quest’ultima inchiesta, hanno deciso di non sottoporsi ad interrogatorio. Luigi Capogrosso, direttore fino al 3 luglio 2012, convocato venerdì scorso dal pm, non si è presentato all’interrogatorio. Adolfo Buffo, direttore Ilva fino al maggio 2013, avrebbe dovuto rendere interrogatorio ieri ma si è avvalso della facoltà di non rispondere. La convocazione del pm ha però avuto l’effetto di interrompe i termini di prescrizione. Secondo l’accusa, le presunte violazioni riguardano la classificazione del materiale: per l’Ilva si tratta di un «sottoprodotto», per la Polizia provinciale invece si tratta di un rifiuto e per questo è stata contestata l’assenza della relativa documentazione. I due indagati, Capogrosso e Buffo, figurano anche tra i 47 imputati a giudizio nel processo per il presunto disastro ambientale che riprende quest’oggi.

Intanto ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, è arrivata la comunicazione di concessione all’Italia della proroga al 30 settembre 2016 del termine per presentare eventuali osservazioni in merito alla procedura aperta contro lo Stato Italiano nelle scorse settimane. La contestazione è quella di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni inquinanti dell’Ilva.

La stessa Corte europea, lo scorso mese aveva messo formalmente sotto processo l’Italia: ora però slitta il termine per la presentazione delle osservazioni, inizialmente fissato per il 20 giugno. A renderlo noto Daniela Spera, coordinatrice di Legamjonici, che ha promosso nel 2013 il primo ricorso per conto di 52 tarantini, a cui è stato accorpato un secondo che fu depositato a ottobre 2015 da altri 130 tarantini, tra i cui firmatari c’è la consigliera comunale Lina Ambrogi Melle (Ecologisti per Bonelli), che consegnò all’avvocato Andrea Saccucci di Roma un dossier poi diventato la base per il ricorso collettivo.

Alcuni ricorrenti rappresentano i congiunti deceduti, altri i figli minori malati. Nella denuncia hanno sostenuto che «lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la salute, alla luce dei risultati del rapporto redatto nel quadro della procedura di sequestro conservativo e dei rapporti Sentieri». I ricorrenti affermano inoltre che lo Stato «ha violato il diritto alla vita, al rispetto della vita privata e familiare e che in Italia non possono beneficiare di alcun rimedio effettivo per vedersi riconoscere queste violazioni».