Dopo tre anni e mezzo dal sequestro del luglio 2012, l’Ilva è arrivata alla svolta decisiva della sua ultra decennale storia. Entro il prossimo 10 febbraio infatti (a partire da domenica 10 gennaio), tutti i gruppi interessati ad acquistare l’Ilva in amministrazione straordinaria sono invitati a manifestare interesse all’operazione di trasferimento dei complessi aziendali del gruppo: questi i tempi previsti dal bando pubblicato ieri, dopo la firma di lunedì da parte del ministro dello Sviluppo Federica Guidi sul decreto che autorizza la «cessione» alla «concessione in affitto, con opzione d’acquisto» dei complessi aziendali dell’Ilva.

Il tempo delle parole è quindi finito. Questi 30 giorni saranno decisivi per conoscere il futuro del più grande siderurgico d’Europa, della più grande azienda italiana per operai diretti e indiretti e della gran parte dell’industria meccanica italiana.

In molti, nelle ultime settimane, hanno provato ad abbozzare un’idea di futuro. Ma restando ben ancorati alla realtà, appare chiaro, se non quanto meno logico, che la possibilità più concreta sia che la gestione dell’Ilva resti sotto il controllo dello Stato: l’altra ipotesi porta direttamente al gruppo privato straniero. In prima fila c’è il colosso franco indiano Arcelor-Mittal che però ha chiesto carta bianca al governo; più defilato c’è Posco, il gruppo multinazionale sudcoreano. Entrambi però, vorrebbero massima libertà di operare: cosa che al momento il governo non può garantire né permettersi. Specie per quanto attiene il risanamento ambientale degli impianti dell’area a caldo, che tra l’altro sono ancora sotto sequestro giudiziario seppur con facoltà d’uso, dove si attendono ancora i lavori più importanti, come la copertura dei parchi minerali e il rifacimento di cokerie ed altoforno 5.

La terzia via, l’ultima, porta invece direttamente alla chiusura: ma appare quanto mai improbabile che ciò possa realmente accadere. La via pubblica, dunque. Ma come? L’ipotesi al momento più concreta parla di una new.co costituita in maggioranza dal fondo «salva-imprese», il nuovo strumento di turnaround voluto dal Governo che avrà come principale sottoscrittore la Cassa Depositi e Prestiti. Fondo le cui casse il governo conta di rimpinguare con 3 miliardi di euro. Come? Il primo soggetto è appunto Cdp con un impegno da un miliardo di euro, seguita da Poste Vita ed Inail per altri 300 milioni. A seguire, nel fondo confluiranno le risorse di investitori istituzionali, di fondi di private equity e delle banche. Secondo indiscrezioni, tra i soggetti prossimi all’ingresso ci sarebbe anche l’Enpam, la cassa dei medici, che però entrerebbe come investitore istituzionale (quindi non garantito) con un impegno di circa 50 milioni di euro.
Della partita faranno parte fondi specializzati in private equity per un totale di 600 milioni di euro. Infine non mancheranno le banche. Che parteciperebbero al fondo per un totale di 200 milioni: Intesa e Unicredit con 40-50 milioni, Mps con 20, il Banco Popolare, Ubi e Bper con 15 milioni e Bnl, Bpm e Cariparma con 10 milioni di euro.

Il governo parteciperebbe a questa new.co attraverso questo fondo con una quota tra il 5 e il 15%. Cassa Depositi e Prestiti potrebbe agire nello stesso fondo oppure da sola attraverso il Fondo Strategico (si parla di una partecipazione vicina al 40%). Dopo di che toccherebbe ai grandi gruppi italiani che operano nel campo della siderurgia, chiamati a raccolta nelle ultime ore dal governo. In prima fila, come osservatore interessato, il gruppo Amenduni che non ha mai manifestato l’intenzione di lasciare il proprio pacchetto azionario di Ilva pari al 10%. In corsa ci sono poi altri due gruppi, dopo che il gruppo Duferco, guidato dal presidente di Federacciai Gozzi, si è dichiarato (non si sa quanto realmente) disinteressato: ovvero il gruppo Marcegaglia e il gruppo Arvedi. È questo al momento lo scenario più credibile sul futuro dell’Ilva. Soltanto dopo si ragionerà sul piano industriale, sulla produzione, sugli interventi di risanamento ambientale, sul futuro dei vari siti industriali di proprietà dell’Ilva e sul destino di oltre 20mila lavoratori tra diretti e indiretti.

Il bando

Il bando pubblicato da parte dell’amministrazione straordinaria di Ilva Spa prevede che alla procedura per il «trasferimento dei complessi aziendali facenti capo alle Società in Amministrazione Straordinaria» (Ilva Servizi Marittimi spa, Ilvaform spa, Innse Cilindri srl, Sanac spa, Taranto Energia srl, Socova sas e Tillet sas.) potranno partecipare «imprese individuali o in forma societaria di qualsiasi nazionalità, sia singolarmente sia congiuntamente ad altre imprese individuali o in forma societaria (cordata)» purché «in grado di garantire la continuità produttiva dei complessi aziendali, anche con riferimento alla garanzia di adeguati livelli occupazionali, sviluppare la relativa produzione siderurgica in Italia anche con sinergie con altri comparti industriali nonché la rapidità ed efficienza dell’intervento, anche con riferimento ai profili di tutela ambientale», e «il rispetto dei requisiti previsti dalla legislazione nazionale e dai Trattati sottoscritti dall’Italia, assicurando altresì la discontinuità, anche economica, della gestione dei medesimi complessi aziendali». Inoltre la manifestazione dovrà contenere, oltre ai documenti legali, anche i bilanci degli ultimi tre anni.