Dopo una lunga notte di trattativa la vertenza Ilva si è sbloccata. I sindacati avevano bocciato la proposta iniziale di Mittal – 10.300 proposte di assunzione, niente vincoli, possibili riorganizzazioni, cancellazione del Premio di risultato (PdR), nessun riferimento all’Accordo di programma per Genova Cornigliano del 2005 – e hanno rilanciato: subito 10.700 assunzioni, garanzie per tutti i 3mila restanti che non riassunti subito (soprattutto a Genova), articolo 18 confermato per tutti.

Questa mattina il ministro Luigi Di Maio ha riconvocato il tavolo generale e Mittal – dopo una iniziale proposta a 10.500 assunzioni – sembra aver ceduto: 10.700 assunzioni subito con garanzia di diritti e di proposta per tutti gli iniziali esclusi entro il 2023 (momento in cui termineranno tutte le bonifiche ambientali). Sul piatto ci sono 250 milioni – sempre promessi da Di Maio – per gli esodi incentivati: 100mila euro a scalare. Rimane un taglio del PdR ma si punta a ricontrattarlo nel 2019.

Una firma che poi andrà confermata dal referendum fra i 13.700 lavoratori attuali di Ilva.

L’accordo è comunque molto migliore rispetto al piano Caleda di maggio. Lì le assunzioni iniziali erano 10.500 e 1.500 assunzioni temporanee erano fatte da una società di Invitalia: rimanevano dunque 4mila esuberi . Qui la garanzia occupazionale è direttamente da Mittal e gli esuberi sarebbero azzerati, condizione sempre posta con forza da Fim, Fiom, Uilm e Usb.

Sul fronte del piano Ambientale le migliorie promesse da Mittal al ministro dell’Ambiente Sergio Costa prevedono un’accelerazione dei tempi anche intermedi, una valutazione di impatto sanitario (Vis) da parte di Mittal, controlli stringenti su livelli di inquinamento anche delle falde acquifere e l’impegno a non aumentare le emissioni anche quando si supereranno i 6 milioni di tonnellate di produzione annua.

Basterà ai cittadini di Taranto? Questa è la grande domanda. Specie per Di Maio.