Il governo li ha scelti per Ilva perché più solidi rispetto ai concorrenti (AcciaItalia di Jindal) che garantivano più occupazione. Ma a due giorni dall’inizio della trattativa gli indiani di Arcelor Mittal si rivelano semplicemente dei tagliatori di teste attenti solo a risparmiare e a togliere diritti ai lavoratori.
IERI LA CORDATA AmInvestCo e i commissari straordinari che gesticono il gruppo Ilva da due anni hanno inviato ai sindacati – come da articolo 47 della legge 428 del 1990 – le condizioni per il subentro nel ramo d’azienda. I numeri previsti nel piano ritoccato a giugno sono praticamente identici: 9.600 dipendenti e ben 4mila esuberi, senza alcuno dei miglioramenti promessi. Ma – e questa è la vera novità – ha messo nero su bianco le condizioni giuridiche ed economiche dei dipendenti: si parla espressamente di nuove assunzioni «senza continuità delle condizioni contrattuali» che comportano dunque l’applicazione del Jobs act e nessun riconoscimento dell’anzianità aziendale.
I 9.600 SUPERSTITI del piano nel dettaglio sarebbero così suddivisi: 7.600 a Taranto, 900 a Genova, 700 a Novi ligure, 160 a Milano, 240 in altri siti. Per un totale di 9.600 addetti. Quanto alle controllate sono previsti 160 dipendenti in forze a Ism, 35 a Ilvaform, 90 Taranto Energia. A cui aggiungere 45 dirigenti in funzione.
LA SITUAZIONE PIÙ DELICATA è certamente quella dello storico stabilimento dell’Ilva di Cornigliano a Genova, dove oggi sono impiegati 1.500 dipendenti. Il taglio sarebbe di ben 600 lavoratori ed ha provocato immediatamente la reazione dei sindacati: Fim, Fiom e Uilm hanno subito proclamato uno sciopero immediato e una manifestazione in città per lunedì. «Una lettera vergognosa che cancella fra l’altro due leggi dello Stato: quella che prevede che in una cessione di ramo d’azienda passino automaticamente anche i dipendenti e una legge che si chiama accordo di programma del 2005 e che dice che a Genova i livello occupazionali e i salari non si possono toccare», attacca furioso il segretario della Fiom genovese Bruno Manganaro, annunciando che non andrà lunedì a Roma perché sarebbe «come andare a un incontro con la pistola sul tavolo».
I DUE CREATORI DEL PIANO – evidentemente richiesto dalla proprietà – sono stati nominati da sole 3 settimane alla testa di AmInvestCo: Matthieu Jehl, vice Presidente di ArcelorMittal, è stato nominato presidente e ad, mentre Samuele Pasi è direttore generale e finanziario e responsabile dei rapporti istituzionali. Pasi è già stato consulente di Arcelor durante il bando e proviene da una lunga esperienza in Jp Morgan: il profilo perfetto del tagliatore di teste.
PER LA FIOM, ArcelorMittal si è dimostrata «arrogante e inaffidabile». Il segretario generale Francesca Re Davide e il segretario nazionale Rosario Rappa bollano la comunicazione come «una provocazione» alla quale si può rispondere solo con «una forte azione conflittuale di tutte le lavoratrici e i lavoratori». Per Marco Bentivogli leader della Fim-Cisl, la trattativa «parte col piede sbagliato» e se non ci saranno passi indietro «la mobilitazione generale diventerà inevitabile». Rocco Palombella, segretario generale dei siderurgici della Uil, definisce «inaccettabili» le condizioni poste da Am InvestCo.
DAL GOVERNO – attuale proprietario di Ilva – arriva una nota stringata che fa trapelare tutta la difficoltà della situazione. A firmarla non il ministro Carlo Calenda ma la vice Teresa Bellanova: «Il governo ribadisce che al termine del confronto nessun lavoratore rimarrà senza tutele reddituali e occupazionali. Mi auguro che lunedì si avvii una trattativa che porti a una intesa soddisfacente in tempi rapidi». Ipotesi al momento fantascientifica se AmInvestCo e i commissari non cambieranno profondamente posizione.