«Volevo farmi del male, volevo vedere le facce di coloro che si sono vantati di aver pestato mio fratello, coloro che si sono divertiti a farlo, le facce di coloro che lo hanno ucciso…».

Ha scritto così, Ilaria Cucchi postando su Fb la foto di uno dei tre carabinieri indagati nell’inchiesta bis sulla morte di suo fratello Stefano. La foto ritrae Francesco Tedesco al mare, che esibisce un fisico palestrato e unto di crema solare in striminzite e aderenti braghette giallo-evidenziatore. Tedesco è stato recentemente indagato insieme a due colleghi trentenni, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, in servizio quella notte tra il 15 e 16 ottobre del 2009 nella stazione Appia quando Stefano Cucchi fu fermato e presumibilmente pestato pesantemente, fino a ridurlo in fin di vita, anche se la morte sopraggiunse una settimana più tardi.

Ilaria Cucchi nel suo «stato» d’inizio d’anno ha voluto aggiungere che quella foto a petto in fuori era stata rimossa e si chiedeva perché: «Si vergogna? Fa bene». Ma ieri il legale di Tedesco, l’avvocato Elio Pini, ha annunciato di averla denunciata per conto del suo assistito. Lei per diffamazione e altri per minacce.

Il fatto è che il post di Ilaria Cucchi ha iniziato a circolare sul web ricevendo centinaia di commenti e condivisioni, alcune delle quali dal sapore acre e rabbioso, c’è stato persino chi ha ipotizzato di organizzare ronde contro i tre carabinieri coinvolti.

Tanto che Ilaria stessa ha dovuto tornare a scrivere sull’argomento nella stessa serata di domenica, precisando: «Non tollero la violenza sotto qualunque forma, ho pubblicato questa foto solo per far capire la fisicità e la mentalità di chi ha fatto male a mio fratello. Chi usa le stesse forme usate per lui non gli vuole bene, noi crediamo nella giustizia e non a rispondere alla violenza con la violenza».

Non è finita lì perché Ilaria attorno a mezzanotte di domenica si è imbattuta in una serie di commenti in risposta ai suoi post sul profilo di Roberto Mandolini, altro carabiniere, ora maresciallo, in forze alla stazione Appia quella fatidica notte. Mandolini è uno dei testimoni-chiave, ora indagato per falsa testimonianza.

È lui che avrebbe detto a un altro ufficiale della stazione di Torvergata: «È successo un casino, hanno massacrato di botte un ragazzo». Non solo ha taciuto per sei anni coprendo ciò che avevano fatto i suoi colleghi, Mandolini li protegge ancora, forse anticipando così la linea di difesa nell’udienza del 29 gennaio, sostenendo cioè che allora fecero «il loro dovere», cioè «arrestarono un grande spacciatore che spacciava fuori le scuole di un parco di Roma dopo l’esposto di alcune mamme e genitori preoccupati. Questo hanno fatto e basta, tutto il resto è speculazione politica per soldi e per arrivare in Parlamento».

Ilaria scrive allora – e siamo a ieri – un lungo post in cui si dice offesa dalle parole di chi ha taciuto per così tanto tempo concludendo che «ognuno deve assumersi le sue responsabilità» e che se c’è imbarazzo «perché queste persone indossano ancora la prestigiosa divisa dell’Arma», lei lo condivide.

Nel frattempo a prendere le sue difese arriva Lucia Uva, sorella di Giuseppe, fermato in stato di ebbrezza e morto dopo un interrogatorio in caserma a Varese un anno e quattro mesi prima di Cucchi. Anche Lucia Uva pubblica la foto di un poliziotto rinviato a giudizio per quel caso insieme ad altri cinque, più un militare: Luigi Empirio, sindacalista del Siap.

Anche qui il poliziotto mostra i pettorali unti, contornato di attrezzi per il body building. «Se querelate Ilaria Cucchi, dovrete querelare anche me», scrive Lucia Uva, lasciandosi andare a commenti amari verso chi «indossa quella divisa sporca del sangue dei nostri fratelli». Anche lei deve poi avvertire i commentatori: «Niente offese, tutti uniti con l’unico obiettivo della giustizia». «Non ci fermeremo», promette.