«Decolonizzare la Palestina ponendo al centro del discorso la lotta per i diritti umani e civili dei palestinesi come modello per pacificare il Medioriente, ma anche per opporsi alle politiche neoliberali nel mondo».

È stato quanto ha affermato giovedì scorso lo storico israeliano Ilan Pappé intervenendo a Salerno alla rassegna «Femminile Palestinese» curata da Maria Rosaria Greco. L’incontro, dal titolo «Linguaggio, comunicazione e decolonizzazione», è stato un momento di riflessione sul ruolo giocato dalle parole nel raccontare l’occupazione israeliana della Palestina.

La discussione ha preso spunto dal testo «Palestina e Israele: che fare?» (Fazi Editore, 2015) in cui Pappé e il linguista statunitense Noam Chomsky sostengono che i tempi sono ormai maturi per un cambio di rotta nella questione israelo-palestinese.

Per fare ciò, sottolinea nel testo l’accademico israeliano, bisogna innanzitutto cambiare il linguaggio finora adottato mettendo da parte definitivamente «il vocabolario dell’ortodossia pacifista».
Quest’ultimo, incentrato sull’idea di «processo di pace», invece di porre fine al conflitto ha contribuito alla continuazione della colonizzazione del territorio palestinese.

Il pensiero dello storico è stato riassunto in apertura dell’incontro da Giso Amendola, filosofo del diritto presso l’Università di Salerno. Ribadendo l’invito di Pappé a decolonizzare la Palestina, Amendola ha poi allargato lo sguardo anche a quanto accade in Europa dove si erigono sempre più muri, si rafforzano le politiche anti-migratorie e dove la logica della separazione e della segregazione si va sempre di più diffondendo. Anche per colpa dei media che fanno apparire «l’altro» come il «nemico», soprattutto quando la presunta alterità è rappresentata dal palestinese.

«Negli Usa il conflitto in Palestina è rappresentato come la guerra degli americani contro i jihadisti islamici. In particolar modo dopo l’11 settembre, questa equivalenza si è fatta più insistente sui media statunitensi» ha detto Clayton Swisher, direttore del giornalismo investigativo ad al-Jazeera english.

Non meno colpe però, ha aggiunto Pappé, le hanno gli accademici: «Nel ventesimo secolo le potenze occidentali hanno pensato di disfarsi degli ebrei portandoli in Palestina. Una soluzione, quella europea, non solo antisemita ma che ha anche leso i diritti della popolazione nativa palestinese». Il docente dell’Università di Exeter (Inghilterra) ha smontato quindi uno dei miti del conflitto israelo-palestinese: la sua presunta complessità.

Secondo lo studioso, infatti, in Palestina bisogna parlare di colonialismo d’insediamento: le forze sioniste, sostenute dall’Occidente, hanno cacciato via i palestinesi e si presentano ora come i nativi.

La fondazione dello stato israeliano nasce da una «pulizia etnica pianificata» che ha prodotto milioni di rifugiati, gli unici che, ha sottolineato ironicamente, vogliono ritornare al loro Paese ma a cui l’Occidente glielo impedisce. Pappé propone quindi di «decolonizzare» la Palestina e di riportarla al centro del dibattito politico internazionale.

«Solo quando sarà risolta questa ingiustizia storica si potrà giungere a pacificare l’intera area mediorientale» ha spiegato. La soluzione che l’intellettuale propone è la lotta per i diritti umani e civili dei palestinesi, l’unica strada percorribile se si vogliono combattere «le violazioni della dignità umana anche in Siria, Iraq Egitto». Ma non solo. «Se poniamo la centralità dei diritti umani in Palestina – ha affermato – allora possiamo lottare anche contro le politiche neoliberali che gravano sulle classi più deboli delle nostre società».

Per l’accademico neocolonialismo e neoliberismo sono facce della stessa medaglia perché entrambi fanno carta straccia dei diritti umani.
In questo contesto, decolonizzare la Palestina vuol dire anche combattere contro le politiche anti-migratorie e di austerità che l’Europa sta implementando e fronteggiare la pericolosa ascesa del nazionalismo.

La lotta dei palestinesi per la libertà della loro terra va quindi al di là dei loro confini nazionali: per Pappé deve costituire un modello per le classi emarginate sfruttate dal capitalismo di riappropriarsi dei propri diritti e dignità.