Il problema globale dei vaccini in fondo è semplice: il mondo può produrre al massimo cinque miliardi di dosi «ma ne servono il doppio o il triplo». Il calcolo lo ha fatto ieri la direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) Ngozi Okonjo-Iweala, che ha sottolineato le disparità a livello internazionale: l’80% della produzione è concentrata in 10 paesi europei, nordamericani e del sudest asiatico. «Non è normale che l’Africa, con 1,3 miliardi di abitanti, disponga di appena lo 0,17% della capacità produttiva mondiale», ha detto l’economista nigeriana. Già ministra delle finanze e degli affari esteri del suo paese, Okonjo-Iweala sarà tra i protagonisti del summit sulla salute globale del G20 che oggi si terrà a Roma, sia pure in video conferenza (solo Ursula Von Der Leyen farà compagnia in presenza a Draghi).

Sulla carta, la direttrice del Wto sarà il partecipante con il peso maggiore. In realtà, al vertice Okonjo-Iweala farà soprattutto tappezzeria. Nemmeno all’interno dell’organizzazione che scrive le regole del commercio mondiale, infatti, è emersa una strategia comune su come aumentare la produzione farmaceutica mondiale e sconfiggere il Covid.

Da ottobre 2020 giace sul tavolo la proposta di India e Sudafrica di una moratoria su tutti i titoli di proprietà intellettuale (brevetti, copyright, segreti industriali) che limitano la produzione di vaccini, farmaci e test diagnostici. L’apertura degli Usa del 5 maggio scorso, limitata alla sospensione dei brevetti sui vaccini, per ora non ha sbloccato il negoziato. L’offerta statunitense non si è tradotta in una mozione formale al Wto, dunque non può essere discussa. L’Unione europea è spaccata, con Francia e Italia sulla posizione statunitense e Germania opposta a qualunque sospensione dei brevetti. L’unica novità, ufficializzata martedì 18 maggio, è che India, Sudafrica e gli altri 60 paesi che appoggiano la moratoria più estensiva hanno comunicato formalmente che «a breve pubblicheranno una versione emendata della loro proposta di moratoria, con l’obiettivo di far avanzare la discussione». La nuova versione «chiarirà l’estensione della moratoria proposta e ne preciserà la durata».

Da un lato, la coalizione di India e Sudafrica ha interesse ad accelerare le trattative perché la pandemia miete oltre diecimila vittime al giorno a livello mondiale.

Dall’altro, una moratoria sui brevetti relativa solo ai vaccini sarebbe un compromesso insufficiente. Il vero ostacolo all’espansione della produzione di vaccini non sono i brevetti, ma il “trasferimento tecnologico” delle informazioni e delle metodologie necessarie per produrre dosi su scala industriale. Inoltre, se anche fosse tecnicamente possibile, prima di essere messo in commercio un vaccino-fotocopia dovrebbe superare prove di sicurezza ed efficacia analoghe a quelle dei vaccini originali: un processo che può richiedere mesi, se non anni. Non a caso un vaccino “generico”, cioè copiato da un altro produttore senza la sua collaborazione, sarebbe una prima assoluta. Diverso il discorso per quanto riguarda farmaci e test diagnostici, la cui riproduzione è meno onerosa e certamente alla portata di molti paesi, prima tra tutti l’India. Ma né gli Usa né l’Ue hanno intenzione di rinunciare ai brevetti su questi prodotti. E in ogni caso terapie efficaci contro il Covid per il momento non ce ne sono.

Con il Wto in stallo, la sua direttrice generale ha scelto di rimanere neutrale e limitarsi alla moral suasion. In un’intervista a Politico di pochi giorni fa, Okonjo-Iweala ha invitato «le aziende produttrici a riesaminare la situazione e a verificare la possibilità di accordi, in modo da poter riconvertire gli impianti esistenti nei prossimi sei-nove mesi» e produrre vaccini anche in Africa e America Latina. Tutto giusto, ma non saranno le dichiarazioni di intenti a moltiplicare i vaccini disponibili.