Le città vivono di avvenimenti simbolici che restano negli anni a venire. I due sgomberi del palazzo e dei giardini di piazza Indipendenza resteranno come una macchia indelebile sull’amministrazione Raggi.

Nei quattro giorni drammatici vissuti dalla comunità di rifugiati non si è affacciato né il sindaco né il suo vice, un atteggiamento che dimostra una intollerabile insensibilità sociale. La giunta che doveva riscattare la città dalla vergogna di mafia capitale si è asserragliata nel palazzo Senatorio e occupa il suo tempo a consultare Genova o Milano per avere lumi.

Possiamo suggerire di tentare di trovare un nome cui affidare il ruolo di Capo di gabinetto visto che è un anno preciso che fu sfiduciata Carla Raineri e da allora manca il garante della correttezza amministrativa degli atti comunali. Non era mai avvenuto prima.

E passando dal dramma alla farsa ecco le dichiarazioni del vicepresidente della Camera Di Maio che ha addirittura teorizzato la priorità dell’impegno del sindaco Raggi verso i romani, al di là dei quali ci sono evidentemente soltanto leoni. Per un movimento che voleva cambiare la cultura politica italiana non c’è male. Il peggio seguirà.

Se mancava la città capitale, a piazza Indipendenza c’era però lo Stato. Quello con il volto meraviglioso del poliziotto che consola la donna disperata e quello del prefetto Gabrielli che accusa della mancata utilizzazione del finanziamento di 130 milioni conquistato con fatica negli anni scorsi per risolvere i problemi dei senza tetto.

Su queste stesse pagine avevamo dato atto del suo lavoro quando era prefetto di Roma. Resta il fatto scandaloso che quei soldi non siano stati ancora spesi per responsabilità dell’amministrazione comunale.

È la prima volta che vinco il riserbo cui mi ero finora attenuto, ma dopo aver assistito a tre sgomberi avevo redatto e consegnato al sindaco e ai membri della giunta un progetto dal titolo «Un tetto per tutti» in cui tentavo di fornire un quadro di obiettivi per risolvere il problema delle occupazioni in atto a Roma.

Il primo era nel riuso delle caserme abbandonate.

Il secondo stava nella costruzione su aree pubbliche di piccole dimensioni comunali o dell’Ater (duemila metri quadrati) di edifici da assegnare a senza tetto. I 130 milioni di Gabrielli non erano certo sufficienti ma la bravura di una amministrazione si misura anche nella capacità di strappare risorse.

Questa proposta fu in particolare contestata dalla stessa Raggi che mi ricordò che i 5Stelle erano contro il consumo di suolo. Su un altro tavolo erano però favorevoli allo stadio della Roma che prevedeva cemento su 20 ettari (cento volte di più!) solo di parcheggi.

La terza stava nella piena utilizzazione del patrimonio pubblico spesso abbandonato o occupato da famiglie senza titolo.

La quarta stava nella legalizzazione di alcune delle occupazioni in atto perché la proprietà privata deve essere certo rispettata ma all’interno di quanto previsto dalla nostra Costituzione.

L’elenco era più ampio, ma ciò che preme sottolineare è il fatto che a Roma ha vinto l’insensibilità sociale e il disprezzo per le condizioni della parte più sfavorita della società.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Con l’inerzia e i silenzi si avalla l’altro volto dello Stato, quello del ministro Minniti che sta riducendo il gigantesco problema dell’integrazione degli immigrati alla sola chiave securitaria: così si smarrisce il senso della comunità urbana e si dà anche voce all’istigazione alla violenza del dirigente filmato alla stazione Termini.

* urbanista, ex assessore della giunta Raggi