La concomitanza delle elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria, con l’enorme valenza nazionale attribuita al risultato emiliano-romagnolo, ha quasi oscurato mediaticamente la campagna elettorale in Calabria. D’altronde, era stato il numero due della Lega Giancarlo Giorgetti ad ammetterlo in tv con disinvoltura: «Della Calabria non frega niente a nessuno». All’indomani del voto sociologi e politologi dell’Unical, l’Università della Calabria, hanno provato a connettere le due regioni sulla base di un’analisi approfondita dei risultati per capire chi sono questi “vituperati” elettori (e non elettori) di Calabria. L’osservatorio politico-istituzionale guidato da Piero Fantozzi, con l’ausilio dei professori Roberto de Luca, Antonio Costabile, Mimmo Cersosimo e Guerino D’Ignazio, ha tracciato l’identikit di una regione dipinta dai media mainstream come una terra criminogena e fuori dal mondo, in una narrazione parziale, schiacciata sullo stigma dell’eccezione e dell’emergenza infinita.

Un dato è certo. In Calabria a vincere è sempre l’astensionismo, che si riconferma (44% di elettori come nel 2014) e che caratterizza ogni tornata. Tutt’altra storia in Emilia Romagna, con un boom di elettori (30% in più). «La storia dell’Emilia Romagna è una storia di un partito d’integrazione di massa, una cultura che non è mai scomparsa sul territorio, un partito radicato socialmente, e che è venuto fuori oggi più forte che mai», ha rilevato il sociologo Fantozzi. In Calabria il partito d’integrazione di massa non l’abbiamo mai avuto semplicemente perché non è mai esistita la capacità educativa dei partiti che si sono sempre basati su meccanismi di competizione come avviene ancora oggi». Insomma, a queste latitudini «una maggioranza non regge perché governare il sistema è difficile e lo stesso processo organizzativo è complicato». E spesso prevale «il voto di pancia e rancore oppure il voto di interesse».

I grafici presentati dal professore De Luca hanno poi mostrato cosa sia successo nelle elezioni calabresi dal 2009 al 2020, dove si sono registrati «andamenti altalenanti fra centrodestra e centrosinistra, soprattutto nelle elezioni regionali e dove viene a galla la figura di un territorio molto spezzato e con dei balzi significativi». Dati che attestano «la volatilità della mobilità elettorale». Dal 1995 in poi «è possibile notare la perfetta alternanza dei due partiti di centrodestra e di centrosinistra – ha sottolineato De Luca – Solo nel 2000 vi fu un quasi pareggio ma nelle elezioni successive abbiamo avuto sempre un capovolgimento completo del risultato» che ci restituisce l’immagine di «una Calabria a fisarmonica». Jole Santelli, la neopresidente, secondo il grafico stilato dal docente Cersosimo, «vince ovunque mentre lo sfidante Pippo Callipo si accaparra l’11% su 404 comuni calabresi, non prevalendo in alcun capoluogo di provincia». L’unica città dove l’imprenditore ittico si è affermato è Lamezia.

Un altro rompicapo è la controtendenza registratasi in queste elezioni. «In Calabria i comuni più piccoli e più poveri, arroccati nell’entroterra, votano il centrosinistra. In Emilia Romagna accade l’inverso e gli elettori votano Lega e lo stesso vale per l’Italia intera dove, solitamente, sono i comuni più svantaggiati a votare per la destra e le grandi metropoli a spostarsi a sinistra».
«In questa terra manca l’indipendenza e la capacità critica che invece sono prerequisiti dell’Emilia Romagna», secondo l’opinione, che certo non va generalizzata, di Costabile. E «il calabrese si affida al politico di turno affinché possa soddisfare i bisogni di cui necessita in quel momento. Perché? Perché in Calabria non funziona niente, dalla sanità a qualsiasi ente amministrativo a cui ci si affidi, e così il calabrese preferisce cedere all’utilitarismo, non credendo più nelle elezioni regionali come fattore di cambiamento».

In Calabria mancherebbe, infine, sempre secondo il docente, un’autentica società civile, «in quanto regione priva di civismo». E a rendere tutto ancor più complicato sarebbero «le liste civiche che non rappresentano un civismo autonomo e in cui sono presenti valanghe di candidati che mirano solo ad ottenere accessi politici e più probabilità di avere maggiore consenso. Ed è proprio questa micropolitica – ha concluso Costabile – che crea il clientelarismo». Che si insinua nelle maglie dell’elettorato e produce danni irreversibili alla politica.