La tempesta tedesca arriva in Italia in tempo reale: tutto fa campagna elettorale e figurarsi poi il voto del Paese guida d’Europa. Ma la propaganda maschera qualche slittamento di posizione reale: clamoroso quello dell’M5S. Riveste qualche tensione non solo di facciata: specialmente a destra dove la divisione potrebbe ostacolare la stessa legge elettorale. Soprattutto, dietro le grida contro il populismo, si annidano più concrete preoccupazioni per il futuro dei conti tricolori.

Chi è il bastione italiano d’Europa, la «diga contro il populismo»? «Noi», risponde a sorpresa Luigi Di Maio: «Siamo l’unico argine agli estremismi in Europa. Fermo restando che il voto mostra che i partiti tradizionali sono in crisi». I tempi del referendum anti-Ue sono preistoria. Il nuovo Movimento 5 Stelle ci tiene ad accreditarsi come forza responsabile e il comunicato dei parlamentari è tanto calibrato da far invidia a molti navigati ex Dc: «Solo in Italia c’è una forza che è riuscita ad arginare la crescita di estremismi portando avanti – attraverso il dialogo e la giusta dose di protesta – idee e contenuti volti a migliorare il progetto europeista».

Piccato, il Pd fa rispondere a Simona Bonafè che non è affatto così e che c’è un solo argine ai populisti, quello guidato dal Nazareno. Ma una certa inquietudine di fronte allo sfrontato tentativo di fare dell’M5S un partito anti sistema e allo stesso tempo a difesa del sistema qualche inquietudine la desta.

Chi di essere assimilato agli xenofobi dell’AfD non ha nessuna paura invece è Matteo Salvini. La sola differenza è che i principianti tedeschi sono novellini: hanno appena cominciato a essere «una sana e robusta opposizione» mentre la Lega «andrà a governare».

In effetti, per quanto strano appaia, il vento di destra che soffia dalla Germania crea problemi, in Italia, proprio alla destra. Perché, se il Carroccio si frega le mani, per Berlusconi, che con Angela Merkel è attualmente in ottimi rapporti e che ha vissuto le nuove aperture del Ppe come un riscatto anche personale, le cose stanno all’opposto.

Infatti Antonio Tajani si affretta a mettere le mani avanti e ad assicurare che i reprobi tedeschi con gli alleati di Forza Italia «non c’entrano niente: siamo famiglie politiche diverse». Deve essersi dimenticato di spiegarlo a Salvini, a Giorgia Meloni e anche al capo dei senatori leghisti Gianmarco Centinaio che infatti liquida sbrigativo il dissenso con Fi sul fronte internazionale: «Vicino alla Merkel, in Fi, ci sono solo Berlusconi e Tajani». Passi per il secondo, ma non è che il parere del primo sia proprio ininfluente.

La realtà è che l’iniezione galvanizzante del voto tedesco rischia di rendere più ardua la marcia del centrodestra verso l’accorpamento elettorale. Berlusconi non ha mai superato le perplessità nei confronti di una legge elettorale, il Rosatellum 2, che premia più Pontida che non Arcore, e ancora più dubbioso sarà dopo la doccia fredda germanica. I risultati potrebbero scoprirsi al momento del voto segreto.

Nel Pd le ricadute sono d’altra natura. L’incubo, propaganda facile a parte, non ha le fattezze barbare dell’AfD ma quelle ripulite dei liberali. Sono loro quelli che potrebbero imporre politiche penalizzanti per l’Italia sul fronte dei conti e della flessibilità. Il capo dei deputati dem Ettore Rosato lo spiattella: «Le nostre preoccupazioni, semmai, derivano dai liberali che non hanno posizioni europeiste come i socialdemocratici».

Il premier Paolo Gentiloni è meno diretto, ma il concetto non cambia: «Spero che la Merkel continui nell’impegno europeista. La miglior risposta all’estremismo antieuropeo è rispondere alle esigenze dei cittadini europei».