Oggi circa 7 milioni di ivoriani saranno chiamati alle urne per eleggere il presidente della repubblica. Nonostante le parole rassicuranti di Alassane Dramane Ouattara (soprannominato Ado), presidente uscente e alla ricerca di un terzo, contestato mandato, l’esito di queste elezioni sembra ancora incerto e la posta in gioco non è il risultato.

DEI QUATTRO CANDIDATI selezionati dal Consiglio costituzionale, solo l’indipendente Kouadio Konan Bertin affronterà il capo dello Stato. L’ex presidente Henri Konan Bédié, leader del Partito democratico della Costa d’Avorio (PdcI) e l’ex primo ministro Pascal Affi N’Guessan, leader del Fronte popolare ivoriano (Fpi), principali oppositori, hanno infatti deciso di boicottare le elezioni, creando una situazione di tensione in tutto il paese.

Il capo dello Stato, che inizialmente aveva deciso di non partecipare alle elezioni favorendo la candidatura del primo ministro Amadou Gon Coulibaly, in seguito alla prematura scomparsa di questi aveva dichiarato lo scorso agosto di volersi ripresentare «per amore del proprio paese e per cause di forza maggiore».

UNA CANDIDATURA giudicata «illegittima» da tutta l’opposizione, visto che la costituzione prevede un massimo di due mandati. Ma Ouattara ha sempre sostenuto che i suoi primi due «non devono essere compresi nella nuova costituzione», adottata nel 2016, forte anche della conferma dell’accettazione della sua candidatura da parte del Consiglio costituzionale e dalla Commissione elettorale indipendente (Cei).

Dopo le proteste i due principali candidati, Bedié e Affi N’Guessan, hanno chiesto ai loro sostenitori di «impedire lo svolgimento di qualsiasi operazione legata alle elezioni e di attuare il boicottaggio attivo». Secondo Affi N’Guessan «questo processo elettorale non soddisfa alcun criterio internazionale, gli elettori ivoriani, devono astenersi dal partecipare».

Inutile anche la missione diplomatica inviata dalla Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) preoccupata per la stabilità di uno dei più ricchi paesi dell’area, principale esportatore di cacao e caffè: guidata dal ministro degli Esteri ghanese Shirley Ayorkor Botchway, ha riscontrato «il persistere di pericolosi punti di divergenza tra i candidati» e ha esortato senza successo i due principali candidati «a riconsiderare il boicottaggio, visto che in una democrazia il popolo si esprime attraverso il voto». Parole che sono suonate come una forma di disconoscimento dell’opposizione e hanno spinto Bedié a richiedere «un coinvolgimento del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nella grave crisi politica che scuote paese».

LA STAMPA LOCALE riporta che nelle ultime due settimane sono notevolmente aumentate le proteste, con scontri e violenze, sia in alcuni quartieri di Abidjan che in altre città come Bonoua, Divo, Dabou o Kotobi, dove una gendarmeria è stata saccheggiata.
Le elezioni di oggi, che vedono schierate oltre 35mila forze dell’ordine, rischiano di far sprofondare il paese sempre di più nella violenza, con almeno 30 morti registrate negli scontri pre-elettorali e intercomunitari di questi ultimi mesi. I timori di nuove violenze sono grandi, a dieci anni dalla crisi post-elettorale del 2010-2011, nata dal rifiuto del presidente Laurent Gbagbo di riconoscere la sua sconfitta elettorale contro Alassane Ouattara, che portarono a una guerra civile che causò circa 3mila vittime.

Intervistato ieri sul canale Tv5- Monde, Gbagbo, incriminato «per crimini contro l’umanità» dalla Corte Penale Internazionale, ha dichiarato che con queste elezioni il paese si sta avviando «alla catastrofe» e ha invitato la popolazione «al dialogo e alla moderazione».