L’Europa e le sue istituzioni restano terribilmente lontani per la gran parte dei cittadini dei paesi baltici (Estonia, Lituania, Lettonia) che sono ancora alle prese, dopo trent’anni, con una complicata transizione dall’epoca sovietica. Nessuno dei partiti in lizza nei tre paesi, non a caso, è riuscito a destare l’interesse per l’elezione dei rappresentanti all’europarlamento in un corpo elettorale svogliato e da sempre euroscettico. Così solo in Lituania dove c’era da scegliere anche il presidente della repubblica l’asticella della partecipazione ha superato di poco il 50% mentre in Estonia e Lettonia si sono recati alle urne poco più del 30% degli elettori.

Più che Bruxelles, sulle rive del Baltico si continua a guardare a Mosca, all’ex «grande fratello», spesso con apprensione, a volte con speranza. Il quadro che ne emerge comunque è per molti versi in controtendenza con l’ondata di destra che ha avviluppato domenica, parte del Vecchio continente. A iniziare dall’Estonia, il paese con il più alto tenore di vita tra i baltici.

A TALLIN c’era del resto il test politico più interessante. Dopo le elezioni legislative di marzo il premier uscente Juri Ratas del Partito di centro aveva detto addio alla Große Koalition per portare dentro la sua alleanza di governo il rampante Partito conservatore del popolo, una formazione di estrema destra che ha fatto della difesa del valori tradizionali, dell’euroscetticismo, ma sopratutto del razzismo gli elementi chiavi del suo programma politico. Una scelta, quella di Ratas, molto contestata da tutto il panorama delle restanti forze politiche perché fino a marzo il premier aveva escluso di poter governare con una forza apertamente xenofoba. Una scelta che ha mostrato di non gradire neppure l’elettorato. Il partito di Ratas ha perso quasi 9 punti passando dal 23,1% dei voti al 14,4%. Un travaso di consensi a favore soprattutto del partito socialdemocratico balzato in due mesi dal 9,8% al 23,3% e premiato anche per la sua netta opposizione alla riforma delle pensioni in discussione in parlamento. Brusca frenata anche per i popolar-conservatori scesi dal 17,8% al 12,7%: i settori più reazionari del suo elettorato non hanno digerito la messa in soffitta della rivendicazione della riduzione della quota dei rifugiati da ospitare nel paese. Il premier, nelle dichiarazioni post-voto, ha sostenuto che il risultato non influirà sugli equilibri del governo anche se un simile terremoto elettorale rende plausibile un rimescolamento del quadro politico.

BUONI RISULTATI anche per i socialdemocratici lettoni. Malgrado lo scandalo finanziario che ha coinvolto in aprile il leader Nils Ušakovs, il partito si conferma intorno al 20% delle precedenti legislative del 2018. Netto il successo anche dell’altro partito filo-russo dell’Unione Russa di Lettonia che passa dal 3 al 6% dei consensi: la discriminazione contro la minoranza etnico-linguistica russa, e confermata anche dalle indagini della Commissione europea, resta al centro del programma dei due partiti. In crescita tuttavia le forze del centro destra che sono riusciti a prosciugare il bacino elettorale della lista populista «Di chi è lo Stato?».

ANCORA PIÙ COMPLESSO il quadro politico in Lituania. Mentre il partito socialdemocratico a lungo egemone nel periodo post-sovietico continua ad arretrare passando dal 19,4% delle legislative del 2016 al 15,9% di questa tornata, passa però dal 4,7% al 9,0% il Partito laburista, l’altro partito di centrosinistra dello spettro politico lituano. In un quadro dominato però dalle relazioni politiche ed economiche con la Polonia e con la Russia.

Non a caso il ballottaggio per il presidente della repubblica che si è tenuto in contemporanea al voto europeo vedeva confrontarsi due candidati di centro indipendenti. L’ha spuntata, sorprendendo i sondaggisti, l’economista Gitan Nauseda. Il paese resterà atlantista e guarderà al rafforzamento delle relazioni con la Polonia ma il nuovo presidente ha promesso anche di voler aprire una nuova fase nei rapporti con Putin. «Basta con la retorica anti-russa, vogliamo costruire rapporti con Mosca sulla base del pragmatismo» ha sostenuto Nauseda.