I venti punti percentuali in più presi da Zingaretti nel voto dei gazebo rispetto al voto degli iscritti hanno un significato univoco: elettori non iscritti e non elettori che sono andati a votare hanno voluto chiudere la fase renziana ed aprirne una nuova. Conoscendo la cautela con cui Zingaretti si è sempre mosso ed il peso che l’establishment interno potrà esercitare, non ci si può illudere su una repentina svolta a sinistra. E’ certo, però, che la politica italiana si fa più interessante e più aperta a prospettive diverse.

Anche perché stanno emergendo con forza crescente i nodi irrisolti dell’attuale esperimento di governo e, soprattutto, si sta sgonfiando la bolla a 5Stelle.

Qui il divario tra speranze suscitate e difficoltà a tradurle in realtà è sempre più evidente e non sarà certo colmato dalla realizzazione del reddito di cittadinanza che tanti passaggi difficili dovrà ancora affrontare. Non si tratta, infatti, solo della normale difficoltà a conciliare promesse e fatti, problema, questo, comune a tutte le forze che passano da una fase di opposizione al governo. Si tratta, invece, anche del sovrapporsi di un’altra difficoltà: quella dovuta alla disomogeneità strutturale delle forze di governo. La scelta anomala di dare vita ad un governo non basato su convergenze programmatiche, che in genere si traducono in alleanze tra forze più o meno omogenee, sperimentando un “contratto” tra due parti con orientamenti spesso contrastanti e con caratteri fortemente identitari, sta mostrando tutti i suoi limiti.

Difficile prevedere come evolverà questa situazione di suspense permanente perché uno stress test ha sempre un suo punto limite di rottura. Ed il capovolgimento dei rapporti di forza che c’è già stato insieme al peggioramento della fase economica che verrà possono avvicinare questo punto critico da un momento all’altro.

In questo clima, con un Partito democratico che intanto esce dalla marginalità ed un elettorato che può diventare più disponibile a rivedere le scelte fatte, si possono prospettare scenari nuovi.

Questo vale anche per chi si colloca alla sinistra del Pd. Non è affatto scontato che la vittoria di Zingaretti si traduca in una svolta a sinistra del Nazareno. E’ certo, però, che, nel nuovo scenario appena accennato, anche per la sinistra si imponga un cambio di fase.

C’è un lavoro di lunga lena da fare per reinsediarla nei territori abbandonati. C’é un lavoro a breve da fare sul terreno politico europeo ed italiano. Bisogna stare nel dibattito in corso sull’Europa facendosi portatori di una svolta profonda e cercando di sopravvivere nel confronto tra europeisti e sovranisti, ma, soprattutto in Italia, la sinistra deve occupare uno spazio nuovo.

In una fase economica globale di sostanziale stagnazione, con un Pd ancora fortemente legato all’idea di una crescita affidata ad un modello di sviluppo che non sembra più poterla garantire, ed in un contesto di alto indebitamento e di politiche di austerità che non lasciano margini per politiche redistributive occorre occupare con determinazione due terreni liberi: quello degli investimenti alternativi alle grandi opere per uno sviluppo diffuso e sostenibile guidato dall’ Europa, e quello della redistribuzione, di una più equa distribuzione di quel che c’è, del lavoro, dei redditi, delle ricchezze mobiliari ed immobiliari.

Ed occorre farlo con politiche di investimenti sociali ed ambientali, da finanziare con strumenti fiscali, dalla patrimoniale alla tassazione delle eredità dei grandi patrimoni che tanti studiosi indicano da anni e che politici coraggiosi di Stati Uniti e Gran Bretagna cominciano a proporre nei loro programmi elettorali.
Cose difficili ed impopolari, da non agitare come spauracchio, da perseguire con le gradualità necessarie, ma col rigore di una forza politica seria che sappia guardare al futuro dei giovani.

Una sinistra di questo tipo non avrà certamente vita facile. Ma per una società che voglia generare più uguaglianza e ricreare una mobilità sociale scomparsa, una forza che persegua questi obiettivi è sempre più indispensabile.

Il Pd, per quanto rigenerato, non penso che vorrà e potrà occupare questo spazio. Ma anche a questo Pd può essere utile che ci sia una forza che abbia il coraggio di provarci.
Chiudere allora la fase veltro-renziana della vocazione maggioritaria che tanti danni ha fatto ed aprire una fase nuova di complementarietà, di competizione positiva, costruttiva e di merito, tra soggetti autonomi, disposti a confrontarsi e ad allearsi, senza rinunciare al proprio ruolo, potrebbe essere la lezione da trarre e la bella sperimentazione da avviare.

Potrebbe offrire un terreno nuovo al vecchio tema delle alleanze a sinistra ed a quello nuovo del rapporto col M5S e col suo elettorato.

Vogliamo parlarne per cominciare a costruire questi nuovi scenari invece di ripetere i riti noiosi di «chi si allea con chi» per galleggiare sul presente guardando alle elezioni ed ai pochi deputati ai quali garantire un seggio?