È morta due giorni fa, dopo un’agonia durata più di tre mesi, la giornalista e attivista dei diritti umani ucraina Ekaterina Gandzyuk, ferita con un litro di acido solforico sul 30% del corpo il 31 luglio scorso davanti casa. Saputo della sua scomparsa la sua amica e collega Oleksiy Matsuka ha scritto: «Era sempre pronta a combattere, era un’ottimista ineguagliabile. La incontrai per la prima volta dodici anni fa e ho sempre ammirato il suo candore, il suo coraggio e la sua energia. È una grande perdita per tutti noi». Ekaterina Gandzyuk è deceduta a soli 33 anni e come tanti giovani ucraini della sua generazione, cresciuti dopo il crollo dell’Urss, si era impegnata per cercare di rendere migliore il suo paese.

E proprio come tanti altri connazionali aveva condiviso la speranza, ma anche l’illusione, di poter estirpare la corruzione dei governanti che si avvicendavano al potere, partecipando a Kershon, sua città nascita, prima alla «rivoluzione arancione» che portò al potere Julya Timoshenko e poi al movimento della Maidan. Dopo la vicenda dell’annessione della Crimea e della guerra nel Donbass, si era schierata nettamente contro quello che coglieva come «un’interferenza e un’aggressione russa» del suo paese e contro le repubbliche autoproclamate di Donetsk e di Lugansk. La sua attività si era concentrata però prima di tutto sulla difesa dei diritti umani, lavorando come assistente legale dell’Unhcr per i rifugiati nella regione di Kherson.

In quella veste si era impegnata nella costituzione di un movimento di volontariato per raccogliere fondi per acquistare indumenti e beni di prima necessità per i profughi che sfuggivano dalle zone coinvolte nelle attività belliche nel Donbass. Dal 2017 Gandzyuk si è concentrata sempre di più sull’attività di inchiesta per denunciare la dilagante corruzione che affligge l’Ucraina. Il portale Most, da lei fondato già nel 2012, è diventato l’unico media nella regione di Kherson focalizzato sul monitoraggio degli appalti pubblici e sugli usi impropri delle finanze pubbliche. Si era resa conto che i vecchi vizi del sistema, in primis la mancanza di legalità e la corruzione imperante che l’avevano portata a partecipare prima alla «rivoluzione arancione» e poi nel movimento della Maidan non era scomparsi con la cacciata di Janokuvich, ma si erano persino incancreniti.

Con le sue inchieste Ekaterina ha denunciato nel settembre del 2017 Artem Antoshchuk, capo del Dipartimento dell’economia di Zaporizhe, per corruzione ed estorsione. A seguito dello scandalo mediatico Antoshchuk fu costretto a dimettersi. Poi nell’aprile 2018 lo scandalo che ha sconvolto l’opinione pubblica: 200 falsi giornalisti avevano ottenuto permessi dalla polizia regionale per possedere armi traumatiche e a gas.

Dopo l’attentato alla coraggiosa giornalista, si è sviluppato in Ucraina un ampio movimento per impedire che l’inchiesta sul suo caso, finisse archiviata. La stessa Gandziuk, scrive Kiyv Post, cosciente del grado di degenerazione degli apparati dello Stato «ha rifiutato in letto di ospedale di collaborare con la polizia sospettando che fosse coinvolta nell’attentato». In un drammatico video, con la faccia cosparsa di bruciature ha denunciato per l’ultima volta l’impunità e la mancanza di giustizia in Ucraina: «So di non avere un bell’aspetto ma questo non niente in confronto allo stato attuale della giustizia in Ucraina. Mi stanno curando, ma nessuno cura il nostro sistema giudiziario».

Solo poco prima della sua morte le autorità hanno arrestato cinque persone, ex combattenti dell’Esercito volontario ucraino, struttura militare dell’organizzazione neonazista Pravy Sektor, e un ex funzionario della polizia locale.

Saputo della tragica fine di Ekaterina Gandziuk, anche il presidente ucraino Petr Poroshenko si è infine augurato «che venga fatta giustizia al più presto». Ma la tragica vicenda di Ekaterina suona come in realtà come una condanna inappellabile proprio del regime di Poroshenko.

L’Ucraina del 2018, secondo il Corruption Perceptions Index dell’agenzia Transparency International, è il paese associato all’Unione Europea più corrotto ed è ai primi posti assoluti di questa speciale classifica anche a livello mondiale assieme a paesi come il Venezuela, la Siria e la stessa Russia. Un grado di illegalità e di impunità generalizzata che secondo gli esperti delle Nazioni unite «è uno dei motivi principali per cui l’Ucraina non è ancora tornata ai livelli di benessere del periodo sovietico».