Si è aperta ieri la nuova legislatura del parlamento europeo e ha fatto il suo esordio la «grande coalizione» comunitaria. Nulla di nuovo, in realtà. Come nello scorso quinquennio, le sorti dell’Unione europea continueranno a essere rette da un’alleanza a tre: il centrodestra del Ppe, i socialisti del Pse e i liberali dell’Alde. Al gruppo di maggioranza relativa – quello popolare – andrà la presidenza della Commissione europea, che sarà occupata dal lussemburghese Jean-Claude Juncker, mentre il socialdemocratico tedesco Martin Schulz è stato riconfermato nello scranno più alto dell’emiciclo di Strasburgo.

A eleggere nella mattina di ieri l’esponente della Spd sono stati i deputati dei tre gruppi «di governo», pur con qualche defezione (fra gli italiani del Ppe, rei confessi molti di Forza Italia): sulla carta disponeva di 479 voti, ne ha ricevuti 70 in meno. A contendere il posto a Schulz, tre competitori di bandiera: il conservatore britannico Sajjad Karim, la verde austriaca Ulrike Lunacek e, per il gruppo della Sinistra unitaria (Gue), lo spagnolo Pablo Iglesias, leader di podemos. Una candidatura, quella di Iglesias, che ha voluto rappresentare – come ha spiegato lui stesso intervenendo in aula – le istanze dei popoli dell’Europa «periferica» colpita dalla politiche di austerità.

L’inizio dell’ottava legislatura è continuato poi con la farraginosa procedura per la scelta dei 14 vicepresidenti dell’assemblea: in diversi turni sono stati eletti 6 popolari (fra i quali il forzista Antonio Tajani, da sempre l’uomo di Silvio Berlusconi in Europa), 3 socialisti (fra loro il democratico David Sassoli), 2 liberali (uno è l’ex commissario Olli Rehn) e uno a testa per l’Ecr (essenzialmente, tories britannici e ultraconservatori polacchi), Verdi e Gue. In questa circostanza, ecologisti e Sinistra unitaria hanno unito le loro forze, a differenza di quanto accaduto la mattina: un primo, positivo, segnale di collaborazione fra i gruppi anti-austerità di orientamento progressista.

Il vicepresidente dell’europarlamento in quota Gue è un greco di Syriza, Dimitrios Papadimoulis, compagno di partito del deputato più anziano, Manolis Glezos, classe 1922, icona della resistenza antifascista ellenica.

L’unico gruppo a non essere rappresentato ai piani alti dell’eurocamera è quello di Beppe Grillo e dell’eurofobo britannico Nigel Farage: in corsa era il pentastellato romano Fabio Massimo Castaldo, ostracizzato in virtù del principio che esclude dai posti di direzione le forze nazionaliste e dichiaratamente anti-europee.

Qualità che senza ombra di dubbio non mancano allo Ukip di Farage, come ha mostrato ancora una volta proprio ieri, con una sceneggiata all’interno dell’emiciclo a uso delle telecamere: all’inizio della sessione, mentre suonava l’Inno alla gioia, i deputati del gruppo populista – ad eccezione dei 5stelle – hanno platealmente voltato le spalle in segno di protesta. Il loro credo è molto chiaro: «Democrazia e appartenenza alla Ue sono incompatibili», ha spiegato ieri Paul Nuttal, vicepresidente del gruppo «Grillo-Farage».

Esaurite le procedure per le nomine parlamentari, oggi è il grande giorno del premier Matteo Renzi, atteso nel pomeriggio a Strasburgo per il discorso con cui illustrerà le linee del semestre di presidenza italiano. Lecito attendersi molta retorica, e una performance migliore della tristemente famosa arringa contro «Schulz kapò» e «i turisti della democrazia» dell’ex premier che ora «assiste» gli anziani di Cesano Boscone. Ma per quello, in fondo, ci vuol poco. Molto più difficile sarà «cambiare verso» per davvero all’Europa dell’austerità.