Maurizio Pane era Il manifesto nelle scuole milanesi nei primi anni 70. Capelli rossi arruffati, brevilineo, come ci definiamo noi di coscia corta, con un viso largo e due occhi da scugnizzo del nord. Lo conobbi, in un’affollata assemblea cittadina degli studenti medi, nel 1971,e lo accostai subito a Gavroche, il ribelle sfrontato e intemerato de I Miserabili.

Mobile, incontrollabile, ma arguto e dissacrante. Sfuggiva al clichè del leaderino, arrogante e altezzoso, che si aggirava come un califfo fra i propri possedimenti nelle assemblee. Aveva un’istintiva disinvoltura con cui si muoveva in quei tumulti. Benchè giovanissimo, era al terzo anno del classico, appariva sicuro, mai retorico, spesso irridente, ma pacatamente, senza il gusto della competizione che avvelenava ogni discussione in quei tornei da maschi Alfa. Un capo naturale, piccolo, ma già saggio e carismatico.

Suggeriva non declamava, convinceva, non imponeva. Un amico che ne sapeva in quel momento di più. In ogni momento. Nella Milano sessantottina dei grandi imperi di piazza, come erano il Movimento Studentesco di Capanna e Avanguardia Operaia, che si contendevano l’egemonia contando a decine le fila dei rispettivi servizi d’ordine, il Movimento Studentesco del Manzoni , la scuola di Maurizio, era un corsaro.

Forte del proprio seguito, Il movimento del Manzoni si permetteva di trattare alla pari con i gran Visir che dominavano le manifestazioni oceaniche. Poi un giorno, dopo un’assemblea con Magri alla Statale, decise di mettersi dietro allo smilzo e sballottato striscione de Il Manifesto, che a Milano era nelle scuole poco più di un’eccentricità.

Con l’arrivo di Maurizio e “quelli del Manzoni”, diventammo adulti. Gavroche diede una spina dorsale nelle scuole a quel cenacolo di Corso San Gottardo che era il centro di iniziativa Comunista Il manifesto. Ci portò in piazza, a testa alta, senza dover chiedere spazio a nessuno. Per qualche settimana si studiò insieme le tesi sulla scuola, con Luciana Castellina e Lidia Menapace. Maurizio colse subito il carattere straordinariamente innovativo della proposta di 4 ore di studio e 4 di lavoro. Una ricetta che sconvolgeva il gradualismo meritocratico che spingeva i gruppi prevalenti di allora ad esasperare il carattere di istituzione separata della scuola dal lavoro.

Una visione che allora, profeticamente ,individuava il sapere come luogo del conflitto: lavoro manuale e ricerca teorica si intrecciavano in un corto circuito non componibile in quella gigantesca oasi di parcheggio per giovani disoccupati, che rimase la scuola di massa. Il problema era spiegarla. Questa era l’ossessione di Maurizio.

Ricordo una notta intera passata a scrivere un volantino sulle conquista della Flm delle 150 ore . Bisognava spiegare come quella richiesta sindacale aprisse un varco ad una nuova idea di scuola. Maurizio pretendeva chiarezza e soprattutto linearità nella scrittura. Lui parlava a decine di migliaia di giovani, io affogavo in contorte metafore intellettualistiche.ma dopo quel volantino cominciai a capire cosa fosse il giornalismo.

Quando il clima si fece più rovente, e non erano più i volantini a contare in piazza, e il fiato del terrorismo iniziava a soffiare alle nostre orecchie, Maurizio fu un vero bastione a cui attaccarsi. Interpretò con provvidenziale acutezza il ruolo che in generale il Manifesto ebbe in larga parte del paese: tutelare i compagni, soprattutto i più giovani, e assicurare un approdo non avventuroso ai tanti giovani disorientati. Molti di noi gli devono la propria salvezza.

Fu impagabile nella sua capacità di vedere prima il rischio, di intuire che dietro quell’angolo, in quella proposta di manifestazione, in quell’incontro, si annidavano tentazioni e minacce. Ci siamo persi di vista per molti anni, e poi , come se ci fossimo lasciati il giorno prima, si sono riannodati i fili di quella storia grazie al capitale accumulato in quegli anni di confidenza, affetto, intimità intellettuale. Con la sua Compagna di sempre Anna, imbastimmo infinite ore di discussioni ,anche feroci, ma con la placida certezza di essere sempre dalla stessa parte.

La sua scomparsa, per altro bruciante, consumata in poche settimane, svuota il mio baule dei ricordi più belli. Soprattutto mi toglie la fonte dei miei racconti, l’unico che poteva certificare, confermare, riportare a realtà le rimembranze di quelle avventure. Spesso dicevo ai miei figli: chiedilo a Maurizio. Chiedilo a lui cosa furono quegli anni, come li attraversammo, senza nasconderci ma senza fare stupidaggini e provocare danni a nessuno. Chiedilo a lui come recuperammo esperienze e destini dalla fornace dell’autodistruzione. Come quella notte del volantino, Maurizio raccontava e persuadeva. Parlando a tutti. Senza di lui per me sarà silenzio.