Che la letteratura allo stato presente abbia bisogno di «sgradevolezza» per uscire dal suo conformismo è tanto più vero quando si pensa ai romanzi e agli scritti di Henry Miller, anarchico in perenne perlustrazione del mondo borghese sia nella patria statunitense che in quell’Europa dove troverà i suoi riconoscimenti e la sua fama di «maudit», spesso misogino che tradisce un trasporto verso la femminilità intesa come unica umanità possibile. E, senza alcun dubbio, di letterati come Miller, delle sue invenzioni stilistiche e delle sue provocazioni si sente oggi la mancanza come l’aria. Perciò giunge a proposito nelle libreria questa nuova biografia dell’autore di Tropico del cancro scritta da Arthur Hoyle e pubblicata dalla casa editrice Odoya (Henry Miller, pp.368, euro 22): un percorso ricco di seduzioni e intuizioni su questo scrittore cosmopolita, vitalista struggente alla ricerca di una verità ultima e radicale.

«Non potrei mai esistere tra gli strumenti igienici e sterilizzati dello spirito economico. L’America non avrà mai un Rinascimento finché non assaggerà la morte». Una frase che ha il ritmo di un manifesto letterario e che Arthur Hoyle, documentarista indipendente oltre che saggista, restituisce nella sua ricchezza. Un America da cui Miller era fuggito e che così descrive al suo ritorno dall’Europa: «Quando salii sul ponte per dare un’occhiata alla costa provai un’immensa delusione. La costa americana mi parve squallida e tutt’altro che invitante. Era la casa, con tutte le sgradevoli, tristi, sinistre implicazioni che questa parola racchiude per un animo irrequieto». Era anche l’America che lo considerava poco più che pornografo – ma che cambierà presto idea con molte critiche positive – e che Miller ricambiava con lo stesso, se non più acido, cinismo. Ma anche con tentativi di riconciliazione ben descritti dal critico Kingsley Widmer: «È una persona che lotta con se stesso e con l’America. Quanto più si allontana dall’America e da se stesso, tanto più diventa americano».

Ogni aspetto della vita artistica e privata di Miller è sviscerato in questo saggio: dai suoi rapporti tormentati con Anais Nin e le donne della sua vita, agli amici scrittori, ai suoi miti letterari a partire da Dostoevskij. Resta il problema urgente, anche in chiave di divisione tra ciò che è vivo e ciò che è desueto in Miller, di una rilettura dei suoi testi – dai Tropici a Primavera nera, da L’incubo ad aria condizionata a Ricordati di ricordare, da Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch alla trilogia di Sexus, Plexus e Nexus -. Una rilettura che questo saggio di Hoyle stimola decisamente.