L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato ufficialmente che l’infezione da Covid-19 è una «pandemia». «Non è una parola da usare alla leggera», ha detto il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus. «Se usata male, può provocare paure irragionevoli o un’ingiustificata rassegnazione come se la battaglia fosse ormai persa». Invece, «descrivere la situazione come ‘pandemica’ non cambia la nostra valutazione del rischio posto dal virus. Non modificherà i piani dell’Oms, né quelli che devono attuare i governi».

SEBBENE infatti la parola faccia paura, la dichiarazione di pandemia da parte dell’Oms non riguarda la gravità della malattia ma la sua diffusione geografica. Per la dichiarazione occorre che la malattia si diffonda attraverso i contagi secondari (non bastano quelli provenienti da un focolaio primario) in tutte le aree del mondo. In passato, malattie più letali del Covid-19 come la Sars non sono state dichiarate pandemiche nonostante si fossero diffuse in ben 26 paesi. Al contrario, la pandemia è stata dichiarata nel 2009 per l’influenza suina, nome in codice H1N1. In quel caso, l’Oms fu criticata per aver provocato un panico generalizzato che sommerse i pronto soccorso di tutto il mondo e indusse molti governi (compreso quello italiano) a notevoli stanziamenti economici per accaparrarsi dosi di un “vaccino” costoso e di dubbia efficacia sull’onda emotiva.

LA DICHIARAZIONE però è un messaggio dell’Oms verso alcuni governi. «Diversi paesi hanno dimostrato che il virus può essere controllato», ha detto Tedros Adhanom. Il direttore generale si è detto «grata» nei confronti di Corea, Italia e Iran per i pesanti sforzi fatti contro il virus. Ma altri non fanno abbastanza: «alcuni paesi non hanno le risorse, altri non mostrano la volontà di farlo». Il riferimento va chiaramente ai grandi paesi europei e non solo come Spagna, Francia, Germania e Stati Uniti che, nonostante ormai ospitino focolai conclamati, tardano a prendere misure radicali.

IL PLAUSO dell’Oms non impedisce però al contagio di continuare ad allargarsi in Italia. Gli ultimi dati incorporano anche i dati di alcune province lombarde che mancavano martedì. «I numeri possono apparire elevate ma in realtà la crescita odierna è in linea con la tendenza dei giorni scorsi», ha commentato il commissario della Protezione Civile Angelo Borrelli.
La cifra più drammatica, quella dei morti, continua però a crescere inesorabilmente: nelle ultime 24 ore sono state contate 196 vittime. Gli altri numeri invece confermano che il contagio sta rallentando soprattutto in alcune regioni-chiave. Il numero dei nuovi casi in sé non è molto significativo (dipende troppo dal numero di tamponi effettuati), mentre la percentuale di test risultati positivi dà qualche informazione in più. In Veneto, solo il 4% dei nuovi tamponi è risultato positivo. In Emilia-Romagna, il 18%. In queste regioni, la capacità di test tiene evidentemente il passo più lento del contagio: le persone infette vengono isolate prima che trasmettano il virus e molte persone a rischio risultano negative. In Lombardia e Marche, invece, la percentuale di tamponi positivi si avvicina al 40%, segno di focolai ancora molto attivi. Tra le vittime lombarde c’è anche il 67 enne Roberto Stella, il presidente dell’Ordine dei medici della provincia di Varese, «un medico e un punto di riferimento per la sanità italiana» secondo la nota di cordoglio del ministro della salute Speranza.

ANCHE altre situazioni periferiche allarmano. Con 35 casi, al momento la Sardegna è una delle regioni meno colpite dal virus, ma detiene un primato mondiale: quasi la metà dei contagiati sull’isola (15) sono medici e infermieri dell’ospedale «San Francesco» di Nuoro. Dieci primari hanno chiesto la chiusura dell’ospedale. Per ora i pazienti saranno spostati in un ospedale da campo in attesa della sanificazione dei reparti, ma l’emergenza non andrà via con l’amuchina. Tra i contagiati, infatti, c’è anche il responsabile della rianimazione. Questo ha portato alla chiusura del reparto di terapia intensiva e del blocco operatorio, una situazione evidentemente ad alto rischio per tutta la popolazione.