Nelle ultime 24 ore, i nuovi casi positivi al coronavirus sono stati 996 con sei vittime. Da dieci giorni il numero di nuovi casi era stabilmente al di sopra delle mille unità. Il timore di un ritorno del Covid ai livelli della primavera sembrerebbe dunque scongiurato, ma come sempre le cifre vanno interpretate con la giusta cautela.

I dati del lunedì sono sempre più bassi, perché nel weekend il numero di tamponi scende fisiologicamente. Ieri sono stati effettuati 52mila tamponi, la metà rispetto al massimo storico dello scorso venerdì. Ma la percentuale di tamponi positivi sul totale è all’incirca la stessa – uno ogni 43 – e questo solitamente indica che per trovare altri casi basta cercarli. Anche i dati sui ricoveri suggeriscono qualche cautela, visto che sono aumentati sia nei reparti ordinari (+37) che in terapia intensiva (+8). Attualmente sono intubate 94 persone in Italia, oltre il doppio rispetto al minimo di 39 del 29 luglio. Ma incomparabilmente meno degli oltre quattromila ricoveri in terapia intensiva di inizio aprile, quando la sanità era davvero al collasso. Un’altra differenza rispetto alla prima ondata è la distribuzione geografica delle nuove infezioni. Per la prima volta, due regioni del centro-sud sono quelle in cui si individuano più casi: 184 in Campania e 148 nel Lazio, che ha anche il numero più elevato di pazienti di Covid-19 ricoverati.

Per ovviare al saliscendi dei tamponi, il governo ha reclutato il microbiologo Andrea Crisanti, che in un rapporto consegnato al governo ha spiegato come portare il numero di tamponi giornalieri a circa trecentomila. Crisanti ha diretto le operazioni di test in Veneto ed è ritenuto uno dei principali artefici del “modello Veneto” di contenimento dell’epidemia.

Ma non è ancora un vero e proprio “piano”. «Mi hanno chiesto cosa si poteva fare per contrastare maggiormente la diffusione del virus. Ho risposto che, se questo era il problema, potevo dare il mio contributo» ha spiegato Crisanti. «La proposta che ho inviato al governo per un piano nazionale sui tamponi è una bozza, ancora informale, e avrei preferito fosse rimasta tale». La sottosegretaria alla salute Sandra Zampa conferma che i tempi sono lunghi, nonostante i contatti con lo scienziato: «Occorre capire come, occorre capire l’organizzazione soprattutto, mettere in rete tutti i nostri laboratori».

Non rappresenta un piano nemmeno il documento segreto rivelato domenica da Repubblica con uno scoop. Secondo il quotidiano, già il 12 febbraio sul tavolo del governo c’era uno studio dell’epidemiologo Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler che, prima ancora dei casi di Codogno, prevedeva tra i duecentomila e i quattrocentomila ricoverati, un terzo dei quali in terapia intensiva. Le proiezioni corrispondono a 35-60 mila vittime, un numero vicino a quello che si è verificato davvero. Per le opposizioni, la disponibilità di uno studio così accurato già in febbraio dimostrerebbe che «era tutto prevedibile (e previsto), ma nonostante questo il governo non ha fatto assolutamente nulla per contenere l’epidemia», come dice la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Quindi un piano anti-pandemia c’era e non fu rispettato per ragioni di opportunità politica?

Al ministero confermano che il rapporto Merler è il famigerato documento secretato per «non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio» (così dichiarò il direttore generale del ministero della salute Andrea Urbani al Corriere della Sera), la cui esistenza era già emersa grazie ad alcune inchieste giornalistiche. Ma non rappresenta un “piano anti-pandemia”, della cui assenza sempre più ingombrante si discute ormai da settimane.