«Nessun Hirak oggi, torneremo dopo il coronavirus». Queste le scritte apparse ieri sui muri di una Algeri con strade e vie semi-deserte. Sarebbe dovuto essere il 57° venerdì di proteste, ma per la prima volta dopo più di un anno, la mobilitazione popolare si è fermata a causa della pandemia del Covid-19.

A OGGI IL PAESE REGISTRA 90 casi confermati e 10 decessi, numeri quadruplicati in meno di una settimana. Un’emergenza crescente che ha costretto il presidente della repubblica, Abdelmajid Tebboune, ad attuare nuove misure restrittive (chiusura di bar e ristoranti, sospensione del trasporto pubblico, congedo retribuito per metà dei dipendenti statali) che entreranno in vigore da domenica, oltre a quelle adottate ad inizio settimana con la chiusura di tutte le frontiere terrestri e marittime, delle moschee, l’implementazione delle strutture ospedaliere e il divieto di manifestazioni pubbliche.

Già dopo i cortei dello scorso venerdì, con migliaia di persone a protestare nelle principali città del paese, il primo ministro algerino Abdelaziz Djerad aveva pregato «i fratelli e le sorelle dell’hirak di evitare assembramenti e proteste per prevenire la diffusione del contagio». Richiesta che aveva fatto nascere un aspro dibattito in settimana, tra coloro che auspicavano la sospensione delle manifestazioni popolari e quelli che volevano proseguirle, nonostante i rischi della diffusione del coronavirus.

IL TIMORE DEL MOVIMENTO, soprattutto sui social, era che dopo un anno di mobilitazioni e proteste il sistema stesse sfruttando questa pandemia «come un vantaggio per porre fine al movimento e assassinare il sogno per una nuova Algeria». Affermazioni che si sono unite a quelle di altri militanti che ritenevano che «il panico causato dal coronavirus significa cadere nella psicosi imposta dal sistema per fermare il movimento» come ha scritto su facebook l’attivista e giornalista Samir Larabi. Posizioni estreme che durante l’arco della settimana sono diventate via via minoritarie, a causa soprattutto del progressivo aumento dei contagi nel paese. In quest’ottica va vista la dichiarazione del presidente della Lega Algerina per i diritti umani (Laddh), Noureddine Benissad, che ha affermato «di essere favorevole all’interruzione delle proteste in strada» pur chiedendo «aperture da parte del governo centrale con segni concreti di dialogo, come l’interruzione degli arresti e la liberazione di tutti i prigionieri d’opinione».

«Piuttosto che discutere tra di noi e creare divisioni che non dovrebbero aver luogo, penso che questa energia dovrebbe essere diretta verso la lotta contro il virus – ha continuato Benissad -. Alta coscienza civica e attivismo sociale questo è quello che abbiamo imparato dall’hirak e che ci servirà nei prossimi mesi».
Posizioni confermate questo martedì dalla sospensione della settimanale protesta da parte degli studenti, che in un comunicato ufficiale hanno indicato di «voler far prevalere l’interesse nazionale e la salute pubblica, interrompendo momentaneamente le legittime proteste contro il sistema».

ANCHE A LIVELLO POLITICO le forze dell’Alternativa democratica algerina – il principale gruppo delle opposizione costituito dal Fronte delle forze socialiste (Ffs), dal Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd) e dal Partito dei Lavoratori (Pt) – ha dichiarato di voler perseguire la rivoluzione «in altre forme al fine di preservare la salute del popolo algerino». Il comunicato unitario si chiude raccomandando di «non sospendere, ma di trasformare questa formidabile rivoluzione popolare, celebre al mondo per la sua ingegnosità e il suo pacifismo, in una nuova abilità collettiva di fronte al pericolo per la salute che ci attende: da venerdì l’hirak non protesterà in strada, ma sarà comunque presente tra il popolo algerino».