Qualcuno potrebbe pensare che i governi di iniziativa presidenziale siano una delle tante malattie tipicamente italiane, di un paese cioè dove tutto il sistema politico si regge oramai su fondamenta sempre più fragili e precarie.

La concentrazione dei poteri nelle mani del capo dello stato – un tempo arbitro imparziale degli equilibri costituzionali e ora parzialissimo difensore dei diktat del monetarismo – sono proporzionali al discredito e all’incapacità dei partiti di trovare soluzioni che possano traghettare l’Europa fuori da quella che è una delle crisi economiche più lunghe della storia. Così non deve stupire che il virus sia arrivato fino in Portogallo, e non solo perché qui vige un sistema che, se pur teoricamente semipresidenziale, nella pratica ha sempre funzionato come un regime parlamentare.

No, i governi di Lisbona e Roma sono oggi affetti dallo stesso deficit di legittimità nel quale l’unica soluzione è quella di una radicale mutazione del ruolo del capo dello stato: non più rappresentante dell’unità nazionale ma garante supremo dell’applicazione rigorosa dei trattati europei: Maastricht, Memorandum, Two Pack, eccetera.

Dando per acquisito una sorta di passaggio di poteri da Pedro Passos Coelho, primo ministro, ad Anibal Cavaco Silva, il capo dello stato, la Confederação Geral dos Trabalhadores (Cgtp) ha deciso questa volta di convocare la manifestazione di fronte al palazzo presidenziale. Un messaggio simbolico molto forte quello che la Cgtp ha voluto lanciare ieri. Puntare il dito dritto contro chi, fino a non poco tempo fa, era considerato l’uomo al di sopra delle parti, rivela in modo inequivocabile come le istituzioni abbiano smesso di essere neutre e che dei principali cardini della democrazia liberale, checks and balances, sia rimasto davvero poco.

Il maggiore sindacato portoghese vuole farsi sentire, trovare un interlocutore nelle istituzioni, presentare misure economiche che, pur nel solco di una politica di riduzione dei cosiddetti squilibri dei conti pubblici, garantirebbero una più giusta distribuzione dei carichi: patrimoniale, tobin tax, abolizione delle esenzioni fiscali e imposta straordinaria sui lucri delle imprese. Sono molti i soldi che si potrebbero raccogliere per evitare un ulteriore taglio del 16% dei salari pubblici (valore dato dalla somma dell’aumento da 35 a 40 ore settimanali e dalla riduzione netta del 4% del reddito). E invece, con l’eccezione del Bloco de Esquerda e del Partido Comunista Português, gli interlocutori non si trovano, nessuno vuole ascoltare, neanche il Partito socialista, ora all’opposizione, che a parole promette nuove strade ma poi nei fatti si limita a poche dichiarazioni generiche.
Ma non basta, perché a questo punto le “misure alternative” non bastano più e ci si mobilita anche per chiedere una rinegoziazione del debito, riduzione dei tassi di interesse, diluizione delle rate e un haircut nel suo ammontare totale.

Dal palco Armenio Carlos, segretario generale della Cgtp, promette che la prossima sarà una primavera-estate molto calda e ricorda: «Quello che tutti considerano un popolo remissivo ha nell’ultimo anno partecipato a più di 3000 scioperi di cui due generali».

In un momento in cui la legge finanziaria presentata da Passos Coelho dovrà essere discussa dal parlamento si tenta il tutto per tutto: alzare la temperatura della protesta per fare cadere il governo. Il prossimo appuntamento è stato fissato dal movimento Que Se Lixe a Troika (Qslt) per il 1º giugno prossimo: stavolta per la grande manifestazione iberica e, si spera, quanto più possibile internazionale.