Il 4 e il 27 marzo del 1986 la televisione britannica Channel 4 mandò in onda una conversazione tra Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch, moderata da Michael Ignatieff. Sono trascorsi 28 anni e l’analisi delle ragioni profonde della crisi della sinistra in Europa è ancora attuale. E questo non è un buon segno. I due studiosi concordano, infatti, nell’individuare un elemento di tale crisi che da allora si è dispiegato sino a non essere più neppure avvertito. Si tratta dell’individualismo liberale che ha contagiato la cultura di sinistra sino a trasformarla alla radice.

Castoriadis e Lasch partono dalla consapevolezza aristotelica che «quel che noi chiamiamo individuo è in un certo senso una costruzione sociale» (La cultura dell’egoismo. L’anima umana sotto il capitalismo, postfazione di Jean-Claude Michéa, elèuthera, pp. 68, euro 8), che «nella società attuale non stiamo più producendo individui capaci di incarnare la visione aristotelica. […]Abbiamo perso quell’ideale?». Sì, la sinistra lo ha perso, sostituendo la lotta di classe con una ideologia dei diritti umani di evidente impronta liberale, non certo marxiana. Invece che affiancarsi alla lotta di classe, la lotta contro le discriminazioni ha sostituito la lotta di classe, segnando in questo modo la fine della sinistra.

I dispositivi concettuali di questa autodissoluzione sono consistiti nella negazione delle invarianti antropologiche, nella rinuncia a ogni identità collettiva a favore dei diritti del singolo, nell’illusione della crescita illimitata, alla quale sono legati quelli dello «sviluppo sostenibile» e dell’equa distribuzione dei profitti del capitale. Si esprime qui una certa ironia verso coloro che al materialismo delle identità corporee preferiscono quella che Michéa definisce «l’ideologia neospiritualista». Di sinistra sarebbe piuttosto «il rifiuto della riduzione degli esseri umani allo statuto di ’atomi isolati privi di consapevolezza generale’ (Engels)». La sinistra del XXI secolo ha dunque rinunciato alla critica nei confronti di un mondo dominato dall’iperindividualismo e ha accettato come inevitabile e ricca di opportunità «una ’società dei consumi’ basata sul credito, sull’obsolescenza programmata e sulla propaganda pubblicitaria».

È sulla base di tale consapevolezza che Castoriadis e Lasch «erano giunti ad avere lo stesso sguardo disincantato sulla triste evoluzione delle moderne sinistre occidentali e su quello che fin dal 1967 Guy Debord definiva ’le false lotte spettacolari delle forme rivali del potere separato’». Un disincanto che li induce ad affermare che ormai «da lungo tempo il divario destra-sinistra, in Francia come nel resto del mondo, non corrisponde più ai problemi del nostro tempo, né riflette scelte politiche radicalmente opposte». Ma per entrambi la possibilità della libertà nell’eguaglianza è sempre aperta. Castoriadis, in particolare, insiste sulla natura «tragica» della libertà poiché essa non possiede limiti esterni sui quali fare affidamento ed è fondata invece sulla pratica dell’autonomia, il cui modello rimangono per lui sempre i Greci. Nelle loro tragedie, infatti, «l’eroe muore a causa della sua hybris, della sua superbia, perché trasgredisce in un contesto dove non esistono limiti predefiniti. Questa è la nostra condizione». La negazione del limite sta a fondamento della presunta razionalità liberale, il cui principio di crescita indefinita contrasta con la realtà dei limiti del pianeta, il cui principio di opportunità per tutti confligge con la realtà del profitto che moltiplica soltanto se stesso.

Questo libro non si limita a una critica argomentata e convincente dell’individualismo di sinistra. Propone alternative praticabili, fondate sul fatto che tradizione e mutamento devono essere viste e vissute in una logica non oppositiva ma inclusiva. Un programma politico di sinistra deve «definire le istituzioni concrete grazie alle quali una ’società libera, egualitaria e decente’ (George Orwell) possa conferire tutto il proprio senso a questa dialettica creatrice tra il particolare e l’universale. (…) Ecco dove sta tutta la differenza fra una lotta politica che, sulla scorta di quella degli anarchici, dei socialisti e dei populisti del XIX secolo, mirava innanzitutto a offrire agli individui e ai popoli i mezzi per accedere a una vita realmente autonoma e un processo storico di perpetua fuga in avanti (sotto il triplice pungolo del mercato ‘autoregolato’, del diritto astratto e della cultura mainstream) che quasi più nessuno, quanto meno tra le file delle nostre sfavillanti élite, si cura di padroneggiare a fondo e che potrà solamente condurre (ancorché santificato con il nome di Progresso) a una definitiva atomizzazione della specie umana». Non si può dire che non fossimo stati avvertiti.