Con gli occhi del mondo puntati sull’Italia, l’Europa e gli Stati uniti in preda al panico, è di nuovo l’Asia a portarsi in testa nella lotta alla pandemia. La medaglia al valore, questa volta, va al Vietnam. Il paese, che da anni gravita nell’orbita della Cina e con cui condivide il confine settentrionale, aveva importato il primo caso extra-cinese di Coronavirus il 23 gennaio. Ma grazie agli inflessibili protocolli di contenimento – interi comuni sono stati isolati fin dallo scoppio dei primi soli cinque casi – il Vietnam è riuscito a liberarsi di Covid-19. Il 25 febbraio il ministero della Salute ha dichiarato che anche l’ultimo dei soli 16 contagiati sul suo territorio si è ripreso completamente.

«VOGLIO CHE IL PAESE resti umile», ha dichiarato in conferenza stampa il vice primo ministro Dam, «abbiamo vinto una battaglia ma non la guerra». E infatti il 6 marzo, pochi giorni prima che arrivasse l’autorizzazione dell’Oms a dichiarare il paese libero dal virus, sono comparsi nuovi contagi. Oggi il numero totale è salito a 44, ma ancora nessun morto. Si tratta di casi d’importazione: dei primi dieci scoperti, otto sono cittadini britannici e solo due vietnamiti, di ritorno da un tour in Europa. Tutti si trovavano sullo stesso volo proveniente da Londra e a Ho Chi Minh è già caccia all’uomo per un altro passeggero inglese sfuggito alla quarantena.

NON SOLO: secondo la Vietnam News Agency il tampone messo a punto dall’Istituto Nazionale di Epidemiologia è compatibile con i criteri stabiliti dalle agenzie Onu e verrà presto messo in circolazione ed esportato all’estero. Il tampone made in Vietnam – in grado di verificare la positività al virus solo in un’ora – sarebbe il secondo a venire impiegato su vasta scala dopo quello cinese, che richiede appena 15 minuti. Tutto ciò ha fatto entrare Hanoi nelle grazie della comunità internazionale: l’Oms si è congratulata con il governo per la tempestività e l’efficienza e l’ambasciata americana ha chiesto esplicitamente al paese di promuovere una più stretta collaborazione tra i paesi del sud-est asiatico per far fronte alla crisi.

L’efficacia della risposta si deve a misure preventive molto lungimiranti: il piano governativo per impedire la diffusione dei contagi era pronto già da fine dicembre, quando l’Europa era ancora all’oscuro della situazione a Wuhan. Tra i meriti di Hanoi, anche l’aver dato vita a una fortunatissima campagna di educazione all’igiene che, a suon di Coronavirus jealousy (remake di una top hit vietnamita, ma a breve sarà disponibile la versione inglese) è riuscita in poco tempo a cambiare le abitudini della popolazione.

COSÌ, LA RIGIDA FLESSIBILITÀ delle società asiatiche – il sistema politico vietnamita non è lontano da quello cinese – evidenzia il caos di quelle occidentali, dove lo Stato si accanisce con misure di contenimento sempre più severe su cittadini spesso incapaci – per le premesse teoriche insite nel nostro peculiare modo di stare in società, più che per becero egoismo – di anteporre il bene collettivo alle esigenze personali.