In gergo si dice Vietnam. Il governo è nella giungla, bersagliato da tutte le parti, incapace di reagire. Impossibile dire quale sia, tra le tante, la sventagliata più minacciosa. C’è Scelta civica, che definisce «indigeribile» la Tasi, ennesima versione della tassa sulla casa, e avverte: «Se non cambia, il governo rischia». L’Anci, con toni meno estremi, spalleggia. Il ministro per gli Affari regionali Delrio, renziano doc, rimbecca a stretto giro: «Non siamo in condizioni di ripensarci. Spero che sia Sc a ripensarci».

Minaccia di profilarsi come un guaio grosso anche l’intemerata del Nuovo centrodestra, sempre più convinto di essere destinato dal nuovo leader del Pd al ruolo ingratissimo di vittima sacrificale. Alfano scalcia e indossa l’armatura del santo crociato: «Se propongono il matrimonio gay ce ne andiamo un attimo prima dal governo. Siamo qui per fare scudo contro quello che la sinistra farebbe se non ci fossimo: matrimoni e adozioni gay, canne, frontiere spalancate». Un po’ è una minaccia messa in campo per aumentare il peso specifico nella sola trattativa decisiva, quella sulla legge elettorale, ma un po’ è anche l’impossibilità, per gli scissionisti ex berlusconiani, di ingoiare come se nulla fosse il tentativo renziano di targare Pd il governo. Solo che a quell’obiettivo il sindaco non può rinunciare. Così Letta è tra due fuochi.

Poi, naturalmente, ci sono le frecciate, anzi le coltellate, che quotidianamente partono dall’area renziana, quando non direttamente da Renzi, per lacerare il martoriato governicchio. Ieri era di turno Dario Nardella, con Saccomanni nella parte del bersaglio grosso: «Non abbiamo certo dato mandato a un personaggio così importante per togliere un punto d’Iva o attorcigliarsi intorno all’Imu. Il ministero dell’Economia dovrebbe essere guidato da un politico: i tecnici non hanno funzionato bene». Poi Nardella frena, secondo il collaudato metodo dello stop-and-go: «Mai chieste le dimissioni del ministro». Tanto la mazzata era già arrivata a destinazione.

Finito? Macchè. Restano le mozioni dell’M5S di sfiducia sui ministri, quella già depositata e quelle probabili. La prima riguarda la ministra Cancellieri, particolarmente imbarazzante perché i pentastellati non mancheranno di ricordare le numerose affermazioni di Renzi, ai tempi non ancora segretario, sull’opportunità di dimissioni della Guardasigilli. Poi ci sono quelle, ancora ipotetiche, ai danni dei ministri De Girolamo, per pressioni esercitate sulle Asl e debitamente intercettate quando era ancora una semplice deputata del Pdl, e Lupi, per il gasdotto pugliese.

In questa situazione, non c’è da stupirsi se l’incontro tra Renzi e Letta, che molti davano in agenda per ieri pomeriggio, non c’è stato. La tensione, anche se tutti si affannano a negare, è alta. L’incontro potrebbe svolgersi oggi, ma più probabilmente slitterà ancora. Letta, infatti, vorrebbe derubricare il summit a uno dei tanti «incontri bilaterali» con le forze di governo. Renzi vuole un faccia a faccia per dettare le sue regole e rimarcare il ruolo di socio di (stragrande) maggioranza che lui e il suo partito intendono d’ora in poi esercitare sull’esecutivo.

Ipotizzare una sopravvivenza del governo oltre la primavera è indiscutibilmente arduo. Tuttavia non è ancora escluso che un Letta sempre più massacrato e che sempre più ricorda la parabola del predecessore Monti arrivi a farcela. Un po’ perché gode dell’appoggio del presidente-sorvrano, Giorgio Napolitano. Molto perché, fino a che non c’è la nuova legge elettorale, il voto è fuori discussione.

In concreto, i tempi di approvazione della legge, e quindi la longevità della legislatura, dipendono in larghissima misura da Berlusconi. La rubrica di Panorama firmata da un politico del centrodestra con lo pseudonimo «Keyser Soze» riporta alcune frasi del cavaliere dalle quali si evince che l’incontro tra lui e Renzi c’è già stato e che la trattativa è ben avviata. Parte dal modello spagnolo. Approderà probabilmente al mattarellum. Ma essenziali, ai fini della tenuta del governo, sono i tempi del mercanteggiamento. Alcuni esponenti di spicco di Fi li vorrebbero lunghi, perché temono una campagna elettorale a breve, senza candidato e con Silvio il campione in panchina, cioè ai domiciliari. Il più diretto interessato sembra invece ancora deciso ad accelerare. E’ convinto che, per lui, governo peggiore di questo non possa darsi.