Qual è lo stato del videogioco in Italia? Inizia a dare una risposta organica al quesito il volume di recente pubblicazione da Mimesis: Il videogioco in Italia: storie, rappresentazioni, contesti. In esso Marco Benoît Carbone e Riccardo Fassone raccolgono una serie di saggi, relazioni, interventi di vari autori su tre aree.
Nella prima sezione sulle «Storie» si tratteggia una «preistoria» estremamente interessante che parte da produttori e distributori di «giochi elettrici» che si occupano di introdurre nei bar e nelle sale giochi le prime «consolle» videoludiche a fianco dei flipper, dal ruolo di hacker e cracker nel diffondere nella periferia tecnologica italiana copie dei videogiochi di successo tramite il capillare canale delle edicole, ma anche dalla nascita e dal ruolo di riviste videoludiche oggi pervenute allo stato di culto oltre che dal ruolo pionieristico di una delle prime società di sviluppo italiane: Simulmondo.

Nella seconda sezione sulle «Rappresentazioni» invece si cerca di cogliere quale sia l’immagine che dell’Italia veicolano videogiochi recenti e meno di successo e di diffusione mondiale come quelli di guida, i picchiaduro, Assassin’s Creed, quelli della saga di Mario ed i Sims. Infine nell’ultima sezione, «Contesti», si può venire a conoscenza dello stato dell’industria videoludica italiana degli ultimi anni, con una lente d’ingrandimento sugli sviluppatori «indipendenti», sugli esport, sul fenomeno YouTube e sull’accoglimento degli studi relativi a livello accademico.

Per quanto lo spettro di analisi sia davvero ampio ed esaustivo, in grado anche di mettere in luce elementi finora poco o per nulla indagati, il tutto resta tuttavia per lo più a livello «narrativo», con pochi o nessun dato quantitativo a supporto. Ad esempio nel suo per altro interessante saggio, Fassone racconta la storia della Zaccaria, ditta che dal 1973 si occupa di costruire flipper. Dal 1978 affianca la produzione di console videoludiche con un successo tale che nel 1981 oltre a produrre per il mercato italiano esporta in Europa, Australia e negli Stati Uniti, con una forza lavoro di 200 dipendenti. Per dichiarare bancarotta solo 3 anni dopo. Ovviamente una tale parabola, unita a quella della Simulmondo, della distribuzione di videogiochi e riviste videoludiche in edicola, dei margini di successo o insuccesso dell’industria più o meno grande restano interessanti ma sarebbero essenziali se a loro corredo ci fossero dati che contribuissero a spiegare tali dinamiche.

Il saggio più controverso è però quello in cui Matteo Bittanti analizza gli scenari italiani offerti dal videogioco di guida Forza Horizon 2. Bittanti ormai da tempo si erge a fustigatore dell’ipocrisia videoludica e più infatti che analizzare quali panorami siano utilizzati nel gioco, ne stigmatizza l’irrealtà causata dall’assenza di elementi deteriori reali come la sporcizia ed il degrado ai bordi delle strade e il perpetuare il mito del trasporto motorizzato individuale a fronte di scelte maggiormente sostenibili come il trasporto pubblico.

Pur lungi dal contestare tali osservazioni c’è da chiedersi quale senso abbiano nei confronti di un gioco espressamente dedicato alle corse automobilistiche. Sarebbe un po’ come accusare di militarismo i giocatori di Call of Duty e di satanismo quelli di Doom (come successo nel caso della Columbine High School). Paradossalmente la posizione di Bittanti va a confliggere con quella di Dalila Forni (unica autrice nel volume) che esamina positivamente la libertà di genere che permette un gioco come The Sims. Se infatti da un lato esso consente al giocatore di rappresentarsi tramite l’avatar con qualsivoglia sfumatura sessuale, è evidente che il gioco è l’apoteosi del consumismo attraverso una interminabile riproposizione del desiderio incatenato nel ciclo di produci/consuma. In conclusione una introduzione – comunque interessante e di piacevole lettura – all’area di studi sul videogioco in Italia ancora tutta da approfondire.