Nello spazio Cinecittà all’Excelsior, davanti al mare che ospitò Dirk Bogard e Björn Andrésen (Morte a Venezia, Luchini Visconti, 1971), incontro la regista di Looking for Grace, Sue Brooks, e le interpreti femminili Radha Mitchell (Denise, la madre) e Odessa Young (Grace). È la storia della fuga di una adolescente alla volta di un concerto hard-rock a due giorni di viaggio, e il suo inseguimento da parte dei genitori accompagnati da un investigatore privato oltre l’età della pensione.Le attrici raccontano come sono arrivate al ruolo. Radha Mitchell (attrice australiana trapiantata in America, che ricordavo in Amore e altre catastrofi, 1996, e Melinda e Melinda, 2004) confessa di essere stata una seconda scelta: un paio di settimane prima dell’inizio delle riprese è stata contattata e, dopo la lettura del copione, ha chiamato la regista accettando felice, impressionata dalla poesia e dal ritmo dei dialoghi.

Nella pellicola è molto presente il paesaggio: Sue Brooks proclama «Facciamo tutti road movie noi australiani!». È per via dell’attaccamento alla terra, si dichiara una ragazza di campagna, la natura è una fonte di ispirazione per lei. «Gli australiani amano perdersi, e ritrovarsi, nel deserto, nell’ambiente naturale. Lo spazio esterno dà il senso di dove ci collochiamo oggi al mondo».

Molto presente è anche il destino. Perché? La regista risponde: «Sono profondamente affascinata dal destino, siamo tutti nella stessa barca, no? Quindi anche immergersi nella natura è in un certo senso fare un passo indietro e guardarsi. Perché in generale si vive in maniera cieca». Aggiunge Radha: «Anche l’infedeltà in questa luce cambia prospettiva!» e ride. «Ci si affanna tanto tra uomo e donna, ma poi tanto si muore tutti». E continua: «La pellicola è costruita seguendo quattro prospettive diverse. La storia ci porterà ad un punto di interconnessione, ma comunque il risultato è arbitrario. È la contrapposizione tra progettazione e caos che fa la bellezza e l’unicità del film».

Alla domanda se ci sia una critica alla famiglia australiana Sue Brooks sorride: «No! Noi siamo così, non siamo anaffettivi, solo più distaccati, più contenuti». E aggiunge: «Amo i personaggi del mio film perché hanno dei difetti, sono imperfetti, e la loro imperfezione mi dà piacere» (Radha la prende in giro: «È sadica»).

Sull’autobiografia: «Ho rubato molte cose dalla mia vita e da quella dei miei amici, alcuni dei quali vedranno il film stasera, speriamo bene».

In merito alla troupe prettamente femminile, Sue Brooks osserva: «Non ho scelto il direttore della fotografia donna, il compositore delle musiche donna, e così via. Le ho scelte perché erano le migliori». Radha si lancia invece in una dichiarazione politica sulla necessità di parità di espressione delle donne, in ogni campo.

Solo due registe sono in concorso al Festival: «Sarebbe bello tra qualche anno essere in competizione e non sentirsi una novità. Ma il problema è a monte: quando leggono le sceneggiature femminili i produttori non le apprezzano, non le capiscono. Cercano cose che hanno già avuto successo, non rischiano, puntano sul sicuro».

Ed inoltre: «Il cinema è un viaggio dell’eroe, evidentemente una prerogativa maschile». Ma non sembra preoccuparsene molto e va avanti per la sua strada, seppur in salita. Ora è felice, Looking for Grace è in concorso al Festival di Venezia.