Perché nessuna donna alla Corte costituzionale? Oggi il Parlamento tornerà a votare per la diciassettesima volta per scegliere due giudici della Corte costituzionale.

Senza voler esprimere giudizi sui nomi prescelti, in queste votazioni sono stati votati circa 23 uomini a fronte di 5 donne, relegate in fondo alla lista delle preferenze espresse. Non è una questione di quote rosa, ma un problema oggettivo di violazione della parità di genere.

Nella Corte costituzionale in 60 anni ci sono stati 104 giudici, di cui solo 3 donne e nessuna eletta mai dal Parlamento. L’accesso alla Corte sembra essere una prerogativa maschile. Sembra quasi che il Parlamento ignori che in Italia ci sono prestigiose giuriste, anche di fama internazionale, che hanno le caratteristiche per essere elette giudici del massimo organo di garanzia costituzionale.

Visto l’andamento delle votazioni e la prospettiva che siano eletti ancora una volta due uomini, viene da pensare che nell’aula di Montecitorio il tempo si sia fermato ai giorni della Assemblea Costituente.

Affrontando il tema dell’accesso delle donne in magistratura alcuni uomini sostennero che le donne non avessero la capacità per svolgere quella funzione e, soprattutto, che non poteva essergli permesso di accedere ai più alti gradi della magistratura. La «rarefazione del tecnicismo», sosteneva Giovanni Leone (che da Presidente della Repubblica non avrebbe nominato neanche una donna alla Corte), è da ritenere prerogativa degli uomini, mentre alla donna va riservato di giudicare «là dove può far sentire le qualità che le derivano dalla sua sensibilità e dalla sua femminilità».

Un pregiudizio persistente che ha escluso le donne dalla magistratura fino al 1963. Oggi circa il 46% dei magistrati è donna, ma lo stigma persiste perché quelle in posizione dirigenziale non superano il 10%. Lo stesso vale in ambito universitario dove le donne ordinarie di cattedra sono appena il 21%, nonostante le donne siano quasi il 60% dei laureati e oltre il 50% degli addottorati.

Il patrimonio di saperi, esperienze e competenze necessario per esercitare la funzione di giudice costituzionale è comune tanto agli uomini quanto alle donne.

Per questo non ha senso che il Parlamento continui ad escluderle dalla Corte costituzionale. Quanto sta succedendo in questi giorni nell’emiciclo di Montecitorio è una manifestazione di incoerenza del Parlamento rispetto ai principi di parità di genere che esso stesso inserisce nelle leggi a cui devono sottostare tutti i cittadini. Continuare a preferire gli uomini è una scelta politica e sociale sbagliata.

Negli ultimi giorni una petizione on line ha raccolto velocemente oltre 4200 firme, segno che gli italiani e le italiane vogliono dal Parlamento la prova che non esistono più pregiudizi e che la Corte costituzionale non è un organo declinato unicamente al maschile.

* avvocato, co-presidente di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, esperto di legistica