«Per ora abbiamo fermato le grandi dighe, adesso dobbiamo riconquistare il diritto all’acqua pubblica». Così dice al manifesto Monsignor Luis Infanti de la Mora, in prima fila nella battaglia contro le multinazionali che agiscono nella Patagonia cilena. Da anni, Infanti accompagna le mobilitazioni nella regione di Aysén (nella parte meridionale del paese), dove le popolazioni rifiutano i progetti idroelettrici delle grandi imprese. Oggi e domani, Infanti è a Milano per partecipare alle giornate di incontri e dibattiti dal titolo: «Expo: nutrire il pianeta o le multinazionali?». A partire dalle 15, nello spazio Oberdan (viale Vittorio Veneto, 2), esponenti politici, amministratori, rappresentanti dei movimenti contadini e intellettuali (da Susan George a Chukki Nanjiundasawamamy, da Fanis Kourempes a Emilio Molinari, da Mamadou Goita a Eleonora Forenza, Maurizio Landini, Alex Zanotelli…) discutono di beni comuni, cibo sano e sovranità alimentare, e dell’acqua, «un diritto ancora da realizzare».

Nel referendum popolare del 2011, i movimenti sociali per l’acqua pubblica, pur senza l’appoggio dei grandi media hanno ottenuto il 95% dei “sì” contro le privatizzazioni. La loro volontà, però, è stata ampiamente disattesa. «In Patagonia – dice il vescovo – l’acqua è controllata dall’italiana Enel. La multinazionale del settore energetico è presente in 40 paesi e, nel 2009, dopo aver assorbito la spagnola Endesa ha ereditato numerosi impianti e progetti in varie regioni dell’America latina, come quello di Hydroaysén in cui Enel e Endesa Cile avevano il controllo del progetto al 51%. Ora, considerando che Endesa possiede l’81% dei diritti dell’acqua di tutto il Cile, mediante la partecipazione a diverse imprese, si può dire che Enel condiziona tutto l’utilizzo dell’acqua cilena. Di più: dato che l’impresa è ancora in parte pubblica, anche gli italiani sono responsabili di questa situazione, anche loro sono i padroni dell’acqua del Cile…».

Infanti ricorda la campagna Stop Enel, nata nel 2012 con l’obiettivo di denunciare e bloccare il modello energetico applicato dalla multinazionale italiana, considerato «insostenibile e dannoso per l’ambiente», a cui opporre invece la promozione di «un modello di energia alternativo che metta al centro i diritti umani, la salute dei cittadini e la difesa del territorio».
Obbiettivi sempre però avanzati anche dagli uffici promozionali di Enel – la più grande società elettrica italiana e la seconda a livello europeo. Nel 1999, dopo un decennio di liberalizzazioni, Enel si è convertita al privato a seguito del Decreto Bersani, che ha liberalizzato il sistema economico italiano e ha messo fine al monopolio vigente fino a quel momento. «La pubblicità delle multinazionali mente – dice però Infanti – Dalla Colombia al Cile, le grandi imprese colonizzano i territori come nuovi dominatori, cercano di comprare le popolazioni. Sono i nuovi conquistatori, cent’anni fa arrivavano con le armi, ora si comprano o affittano le terre. In Patagonia ci sono imprese canadesi, tedesche, cinesi…»

Intanto, però, «dopo aver stoppato un progetto per trasferire rifiuti tossici in Patagonia, gli ambientalisti hanno ottenuto una prima vittoria anche con Hidroaysén: le 5 dighe previste dal progetto sono state bloccate». E’ stato così infine rispettato il voto popolare: nel 2008, alla consulta a cui partecipò circa il 90% della popolazione, compresi gli abitanti delle zone rurali, l’86% dei votanti espresse la propria contrarietà al progetto. E, all’inizio dell’anno, il governo Bachelet ha deciso di bloccarlo. Un cambio di indirizzo politico?

«Per ora, sì – risponde il vescovo – ma la decisione può sempre essere revocata: almeno finché non si cambia la “costituzione” imposta dall’ex dittatore Pinochet, che dà mano libera alle imprese private. Le leggi sulla pesca favoriscono le multinazionali e distruggono la pesca artigianale. Nel 1981, il regime militare modifica il Codice delle Acque, che separa l’acqua dalla proprietà della terra e la trasforma in merce. Si vendono i diritti dell’acqua ai privati». I movimenti cileni, che hanno sostenuto la seconda elezione di Bachelet, chiedono a gran voce un’Assemblea costituente e un cambio di indirizzo strutturale, «ma fin’ora – constata Infanti – hanno ottenuto solo pallidi correttivi».

Il peso delle destre, in Cile, è ancora molto forte, il regime militare ha lasciato pesanti ipoteche. Monsignor Infanti, originario di Udine, ne ha conosciuto da vicino i risvolti. Vive in Cile da 42 anni. Da studente, è stato espulso dall’università di Santiago. E in seguito ha potuto preservarsi solo perché nel convento dei Servi di Maria, in Patagonia, gli echi delle torture e dei massacri si avvertivano più da lontano. Racconta: «Sono arrivato in Cile un mese prima del colpo di stato dell’11 settembre 1973. Il paese era paralizzato dagli scioperi e dalla guerra economica indirizzata dalla Cia. I prodotti c’erano, ma venivano nascosti per alimentare lo scontento e creare il bisogno d’ordine». Una situazione che, fatte le debite proporzioni e differenze storiche, ritorna anche oggi in altri paesi progressisti dell’America latina che, come il Venezuela «hanno deciso di dire basta alla schiavitù delle multinazionali e di lavorare con il popolo».

Luis Infanti ha vissuto 9 anni in Bolivia, a Cochabamba, da cui sono partite formidabili lotte contro la privatizzazione dell’acqua: «Morales ha dato dignità a un popolo che prendeva coscienza di non voler più essere schiavo della globalizzazione – dice Infanti – La Bolivia è ricca di risorse naturali che sono sempre state saccheggiate. Gli spagnoli hanno portato via tanto di quell’argento da poterci costruire un ponte. La dittatura ha poi eliminato tutti gli intellettuali, quando ero lì si avvertiva la mancanza di qualcuno che aiutasse a leggere e analizzare la realtà. Il cambiamento è stato imposto dagli umili, dagli indigeni, e dagli studenti».

Agli umili e agli «impoveriti» si rivolge anche l’Enciclica di papa Bergoglio, per chiedere una «conversione ecologica» e una «nuova solidarietà universale». Per Infanti, si tratta di «un duro atto d’accusa contro i poteri economici che non rispettano i paesi e i popoli. Il Papa, che si richiama a San Francesco, conosce bene le culture indigene e il loro senso della condivisione. Denuncia il cancro del consumismo e la prepotenza del Nord che sta depredando il Sud. Non a caso, ora, dopo quello che si è tenuto in Vaticano, è in corso in Bolivia il II incontro mondiale dei movimenti popolari, voluto dal Pontefice».

Una chiesa dalla parte degli ultimi. In quest’ottica, il 5 giugno, la Commissione giustizia e pace del Vicariato di Aysén ha indetto la campagna «Acqua e vita», contro la «mercificazione dei beni comuni e per incidere sulle decisioni politiche e legislative».