«Non sarà il benvenuto». Con queste lapidarie, ma poco diplomatiche, parole Cayetana Aljovín, ministra degli Esteri peruviana, ha informato che Nicolás Maduro non è invitato a presenziare al Vertice delle Americhe che avrà luogo a Lima il prossimo aprile.

L’«ostacolo insuperabile» per la presenza del presidente venezuelano in Perù sarebbe «la rottura democratica verificatasi in Venezuela» con la decisione di indire elezioni presidenziali anticipate per il 22 aprile. Secondo Aljovín «il Venezuela non è una democrazia», visto che «non esistono sufficienti garanzie di trasparenza nel processo elettorale» per le presidenziali.

Questa decisione, che entra a gambe tese in questioni di politica interna di un paese sovrano, è stata presa martedì alla conclusione di una riunione del cosiddetto Gruppo di Lima, un ente multilaterale – composto da dodici paesi dell’America Latina e dei Caraibi in gran parte governati dalla destra – creato lo scorso anno per «cercare una soluzione alla crisi del Venezuela».

Una soluzione che la settimana scorsa il segretario di Stato Rex Tillerson – impegnato in un tour sudamericano per mettere in chiaro i desiderata dell’Amministrazione Trump – ha offerto su un vassoio d’argento: tirare fuori dalla naftalina la dottrina Monroe (presidente Usa nel 1823) per impedire «ingerenze esterne» in un America latina, che così dovrebbe ritornare ad essere un «democratico» giardino di casa degli Stati Uniti. «Vi sarà un cambio – aveva affermato Tillerson – e noi vogliamo che sia pacifico».

La richiesta di escludere il presidente del Venezuela dal Vertice delle Americhe non era stata l’unica avanzata dal capo della diplomazia statunitense, Rex Tillerson, nel suo incontro col presidente peruviano Pedro Paolo Kuczynski: nel «pacchetto» anti Maduro erano compresi il boicottaggio del greggio venezuelano e una velata, ma non meno minacciosa, possibilità di un intervento armato «umanitario» per mettere fine alla «profonda crisi economica e politica» del Venezuela. Naturalmente deponendo il «regime» di Maduro.

La stessa richiesta – organizzare una forza di pace multinazionale per abbattere il governo venezuelano – è stata avanzata nei giorni scorsi dall’Organizzazione dei venezuelano-statunitensi indipendenti (Ivac) con sede a Miami e sarà presentata il 27 settembre al Congresso degli Usa.

«Non si possono avere elezioni libere e giuste con prigionieri politici, senza la piena partecipazione dei partiti politici e con leaders detenuti o arbitrariamente inabilitati» a presentarsi, afferma la dichiarazione sottoscritta dal Gruppo di Lima. Del quale fa parte il presidente colombiano, Manuel Santos, accusato in questi giorni dai leaders delle Farc di non fare nulla per impedire l’uccisione di propri militanti da parte di gruppi paramilitari e le aggressioni subite dai candidati dell’ex guerriglia che ha deciso di sospendere la sua campagna elettorale per le elezioni generali.

O il presidente peruviano Kuczynski, che è riuscito a evitare l’impeachment solo concedendo l’indulto all’ex presidente Alberto Fujimori, altro brillante esponente della «democrazia» appoggiata dagli Usa.

La dichiarazione della responsabile della diplomazia peruviana mette in difficoltà il presidente Maduro, il quale aveva annunciato che avrebbe «puntualmente» assistito al vertice dei capi di Stato delle Americhe per «difendere la sovranità dell’America latina e dei Caraibi» e «per riunirsi col combattivo popolo del Perù».

Si rafforza infatti l’isolamento del Venezuela in un clima assai minaccioso, come testimonia la decisione della Colombia e del Brasile di blindare i propri confini per «controllare il flusso di profughi che fuggono dal Venezuela».

La tensione accresce anche le difficoltà e le divisioni interne dell’opposizione venezuelana. La Mud – Tavola dell’unità democratica – non ha ancora deciso se presentarsi alle elezioni con un candidato unico, come chiedono l’ex governatore dello stato di Lara, Henri Falcón – che si candida – e l’ex candidato presidenziale Henrique Capriles. Oppure se boicottare le presidenziali, come propone l’ex sindaco (in esilio) Antonio Ledezma.