Dopo le ultime grandi voci poetiche della controcultura statunitense, il 22 agosto è venuto a mancare, a San Francisco, anche l’ottantasettenne Jack Hirschman, che assieme all’inseparabile Ferlinghetti e ad Amiri Baraka, formava un gruppo di irriducibili che ha fatto della poesia un’arma per combattere contro ogni guerra, ogni fascismo, ogni ingiustizia.
Ho conosciuto Hirschman nel 1998, assieme alla moglie Agneta Falk, durante un reading internazionale organizzato da Sergio Iagulli, fondatore della Casa della Poesia di Baronissi. La Casa della Poesia è stata un’esperienza unica in Italia, dove il bosniaco Izet Sarajlic, poeta della Sarajevo assediata, assieme allo stesso Hirschman, sono stati le pietre angolari su cui si è costruita una rete internazionale di relazioni culturali, politiche e soprattutto umane senza precedenti.

LE OPERE di Hirschman presenti in Italia sono state tradotte da Raffaella Marzano, poi pubblicate dalla Multimedia Edizioni (condivisa da Marzano con Iagulli). In tutti questi anni Sergio e Raffaella sono diventati la famiglia italiana di Jack, organizzandogli incontri e tour poetici. La biografia di Hirschman è talmente ricca da essere quasi impossibile sintetizzarla; sono anni infatti che la scrittrice e traduttrice Alessandra Bava ci sta lavorando con passione e assiduità. Hirschman era un artista a tutto tondo, pittore e performer, non troppo incline ai palcoscenici accademici e ai salotti letterari, a cui preferiva le periferie, le piazze, i centri sociali, le scuole, le carceri.

Nato a New York, nel Bronx, in gioventù insegnava presso la Ucla University di Los Angeles (tra i suoi studenti figurava anche Jim Morrison, poi leader dei Doors), da dove fu espulso per il suo attivismo politico contro la guerra: promuoveva col massimo dei voti gli studenti passibili di arruolamento, per evitar loro di partire per il Vietnam.
Anche se amico di molti poeti della Beat Generation, Hirschman si differiva politicamente da una corrente letteraria che definiva una «rivoluzione borghese», perfino un «business letterario». In un’intervista affermò che «la Beat Generation non è un’avanguardia. La vera avanguardia è quella capace di lottare contro le ingiustizie ed è vicina alle istanze dei poveri nel mondo. Questa è la responsabilità dei veri poeti».
Hirschman ha pubblicato più di cento libri e un’infinità di traduzioni, da nove diverse lingue, di autori come Majakovskij, Dalton, Pasolini, Scotellaro, Laraque, Celan, Heidegger, Neruda e molti altri.

LA SUA VOCE POTENTE, spesso intrecciata a percorsi sonori e ritmici, è un’esperienza che chi ha avuto la possibilità e la fortuna di vivere non può dimenticare. Epico un suo reading a San Francisco – città in cui egli viveva e in cui è stato nominato «Poeta Laureato» -, che dedicò ai senzatetto, declamando versi davanti a centinaia di homeless. Ma il suo impegno più grande è stato da sempre quello contro la guerra: «Sono nato durante la seconda guerra mondiale, quando si diceva “uccidi i nazisti”. Conosco l’esperienza della guerra in Vietnam, della guerra in Corea e di tutte le guerre. E le guerre sono un’esperienza che non bisogna ripetere, favorire o aiutare. Mai».

Nel 2009, assieme a Sarah Menefee, Bobby Coleman e Cathleen Willams, Hirschman fondò le Revolutionary Poets Brigade, un’organizzazione internazionale di poeti politicamente e socialmente impegnati che oggi conta gruppi in diverse città: Los Angeles, Albuquerque, Chicago, Burlington, Parigi, ma anche in svariate città italiane.
Insieme ad Alessandra Bava e altri poeti della capitale, inaugurammo il gruppo delle RPB romane, che ha prodotto diversi reading e un paio di antologie. Tra i tanti, qualche anno fa partecipai a un evento poetico indimenticabile con Jack, nel carcere di Pesaro, assieme a detenute e detenuti. Ricordo che durante l’incontro un detenuto si alzò e, in maniera un po’ provocatoria, chiese a Jack: «ma tu in carcere ci sei mai stato?». Gonfiando il petto sotto gli straccali rossi e sorridendo dietro i suoi folti baffoni, Jack aprì il palmo della mano e rispose: «Sì, cinque volte». Dalla platea allora si alzarono pugni chiusi e si levò un sonoro urlo collettivo, come se la squadra del cuore avesse fatto goal. Le affinità elettive manifestatesi avevano contribuito a trasformare il linguaggio poetico in qualcosa di necessario, concreto, rivoluzionario, tanto che dopo quell’incontro anche i detenuti delle Marche fondarono un gruppo di RPB e pubblicarono una raccolta antologica sul carcere, naturalmente con l’introduzione del loro compagno Jack. Jackissimo per gli amici.

LA POETICA DI HIRSCHMAN è un lungo percorso di coerenza, impossibile da separare dalla sua quotidianità. Ha fatto della poesia non solo un linguaggio attraverso cui esprimere il proprio talento, ma un vero e proprio stile di vita: tra parola e azione, infatti, non ha mai marcato nessuna distanza, nella febbrile ricerca di quella che lui definiva «verità dell’essere».
A fine agosto doveva tornare in Italia, ma non ce l’ha fatta. Ci mancherà tanto Jack, il ragazzaccio del Bronx, ebreo e comunista, che ha dato alla poesia una forza e un’umanità irripetibili. Senza di lui saremo tutti più orfani, anche se i suoi versi, parafrasando Leo Ferrè, continueranno per sempre a «fare l’amore nella testa dei popoli».