Se le condizioni disumane in cui vivono i detenuti nelle carceri italiane continua ad aggravarsi senza interventi risolutivi all’orizzonte, anche in altri paesi come gli Stati Uniti non mancano tristi primati in fatto di reclusione. Al sovraffollamento, nonostante l’edilizia carceraria abbia vissuto un vero e proprio boom industriale oltreoceano, si aggiunge la percentuale eccessivamente alta di cittadini che rischiano di finire dietro le sbarre. L’America registra il tasso percentuale più alto al mondo di detenuti. Mentre in Francia ci sono circa 100 detenuti ogni 100mila abitanti, in Iran 350 e in Russia 500, in America si arriva fino a 730, che si traduce in oltre 2 milioni di detenuti. Del sistema carcerario statunitense si è occupato a fondo Marc Mauer, in particolare nel suo studio Race to Incarcerate , presto diventato uno strumento indispensabile per la comprensione della crescita esponenziale del sistema di reclusione degli ultimi quarant’anni. Noto esperto del sistema penale, Mauer da anni è il direttore del Sentencing Project di Washington, un’organizzazione fondata negli anni ottanta e impegnata nel garantire una giustizia imparziale ed efficace, che promuove interventi di riforma, soluzioni alternative al carcere, e combatte la discriminazione razziale. Un aspetto centrale della corsa all’incarceramento di massa intrapresa dagli Stati Uniti è il drammatico impatto che ha avuto proprio sulle comunità dei neri e degli ispanici, tanto che di questo passo un afroamericano che nasce oggi su tre, e un latino su sei, sembra sia destinato a passare un qualche periodo di tempo in galera.

Dell’importante libro di Mauer, pubblicato per la prima volta nel 1999, la New Press, organizzazione non-profit di New York attiva nella discussione e nello studio di tematiche politiche e sociali, ha pensato di farne una sorprendente e illuminante versione a fumetti che letteralmente mette davanti ai nostri occhi un lato oscuro della storia del paese a stelle e strisce. Adattato graficamente con raffinata originalità, la nuova versione di Race to Incarcerate è opera dell’artista Sabrina Jones, ormai familiare ai lettori della rivista World War 3 Illustrated e del fumetto politicamente più impegnato della Grande Mela. Un lavoro tutt’altro che semplice, nel quale l’autrice newyorchese ricostruisce, in maniera fondata sui dati e con una personalissima abilità narrativa, il susseguirsi delle varie politiche di lotta alla criminalità e del loro triste fallimento sociale. Jones è nota anche in Italia per l’affascinante graphic novel dedicata alla celebre danzatrice Isadora Duncan uscita un paio di anni fa per i tipi della NdA Press. L’abbiamo incontrata per parlare di Race to Incarcerate , uscito negli Stati Uniti.

Come è nata l’idea di una versione a fumetti di un libro sulla complessa storia del sistema penale americano?

L’organizzazione non-profit New Press ricerca nuovi modi per promuovere le sue pubblicazioni su tematiche sociali progressiste. Copie del volume Race to Incarcerate di Marc Mauer erano state spedite a persone che si trovavano in prigione. Uno dei destinatari era Carnell Hunnicutt, che disegna fumetti. Lui iniziò a disegnare una versione a fumetti, aggiungendo i suoi commenti satirici. Le pagine ispirarono l’editore per ottenere un finanziamento con cui adattare l’intero libro in una graphic novel. Il lavoro di Mauer è stato tenuto in grande considerazione nel campo, ma la versione grafica rappresenta uno sforzo per andare oltre il suo pubblico originale, in un periodo in cui l’incarcerazione di massa sta emergendo come una delle principali discussioni relative ai diritti civili del nostro tempo. I miei fumetti potranno mancare dell’umorismo di Carnell, ma sono un’accurata interpretazione del suo messaggio. Mi ha fatto molto piacere sapere che Mauer li abbia trovati «fedeli al libro, ma qualcosa di più vivo».

Eri consapevole dell’entità del problema carcerario prima di leggere il libro di Mauer e che consapevolezza sociale c’è oggi del problema carcerario in America?

Sono venuta a sapere dell’enormità della popolazione carceraria americana negli anni novanta, quando la mia collega Kevin Pyle curava il numero sulla prigione della rivista a fumetti World War 3. Ancora non ci contribuivo al tempo, essendo presa da altre cose, come curare la serie a fumetti Girltalk. Nel 2004, Lois Ahrens del Real Cost of Prison Project mi ha invitato a lavorare ad una serie di fumetti sul tema del carcere. Lois mi diede una vera formazione mentre collaboravamo a un fumetto dal titolo Prisoners of the War on Drugs. La mia prima vera immersione nelle profondità dell’ingiustizia americana mi ha fatto riflettere, e talvolta deprimere fortemente. Non m’immaginavo mai che sarei finita in un progetto persino più lungo sull’argomento. Ma la cosa che mi ha tenuto alto l’umore è stato di sapere che il mio lavoro andava dritto in mano a persone che lavoravano per cambiare le distorsioni e gli abusi del nostro sistema attuale.

Trovo che, al di fuori dei circoli progressisti, il problema carcerario costituisca una sorpresa per molti americani bianchi. Le altre comunità probabilmente sono più consapevoli delle politiche che hanno avuto un effetto sproporzionato sulle loro vite. La recente crisi economica ha spinto gli Stati ad affrontare l’insostenibile costo dell’espansione carceraria, e alcuni hanno cominciato a ridurne il numero. Le associazioni per i Diritti Civili mettono sempre più in guardia contro l’applicazione di pratiche discriminatorie, come lo «stop and frisk» della polizia di New York, oggetto di una recente contesa giudiziaria e ampiamente criticato per il suo pregiudizio razziale. All’interno di una zona ad alto tasso di criminalità gli agenti fermano i passanti senza uno specifico sospetto e li perquisiscono in violazione alla protezione costituzionale contro perquisizioni e sequestri ingiustificati. I bersagli di questo tipo di pratiche sono a gran maggioranza giovani neri e adulti latini.

Per quanto ci siano sviluppi importanti, la corsa all’incarcerazione impone un ampio ripensamento della sicurezza pubblica in termini preventivi, offrendo alternative produttive alla prigione quando possibile, e opportunità economiche che riducano l’attrazione dell’attività criminale.

Cosa ha portato alla crescita esponenziale dell’incarcerazione di massa che colpisce in primo luogo neri e ispanici?

L’incarcerazione di massa ha avuto inizio verso il 1973, al culmine dei movimenti di liberazione e per i Diritti Civili degli anni sessanta. Sembra che l’ansia provocata dal cambiamento sociale in generale e una reazione contro la legittimazione degli afro-americani, unita alla paura di una reale, per quanto temporanea crescita dei tassi della criminalità, abbiano innescato un impulso punitivo che raccolse uno speciale entusiasmo politico.

La cosiddetta politica del «tough on crime» (duri contro il crimine) divenne obbligatoria per chiunque volesse aspirare o mantenere una carica pubblica. I candidati percepiti come «soft on crime» non avevano speranza. L’esempio più celebre fu il governatore del Massachusetts Michael Dukakis, la cui candidatura alla presidenza venne sconfitta soprattutto per l’attenzione concentratasi su un crimine particolarmente raccapricciante commesso nel suo stesso stato.

Repubblicani e Democratici in egual misura hanno fatto a gara per approvare le cosiddette leggi di condanna obbligatoria (mandatory sentencing laws) e aumentare la spesa per la «Guerra alla droga».

Il razzismo di solito non è espresso apertamente nella politica americana, ma velati riferimenti sono capiti velocemente quando i politici esternano la loro intenzione di proteggere il gruppo dominante dall’altro. Una volta che le leggi repressive entrano in vigore, il pregiudizio razziale influenza ogni passaggio del sistema giudiziario, aumentando la probabilità che una «persona di colore» sia fermata dalla polizia, perquisita, arrestata, accusata, condannata, e che sconti un periodo di carcere. Ad ogni passo del processo, statisticamente è principalmente alle persone bianche che viene concessa una seconda possibilità, o il beneficio del dubbio.

Quanto l’isteria della «lotta alla droga» è stata determinante in proposito? La stessa severità e sproporzione delle pene ha prodotto risultati devastanti….

La cosiddetta «Guerra alla droga» è il fattore determinante della disparità razziale nella nostra popolazione carceraria. Dato che raramente c’è una vittima che denuncia tali reati, viene rimesso alla discrezione delle forze dell’ordine dove iniziare la ricerca della droga. Gli studi mostrano una notevole somiglianza nella frequenza dell’uso e nella vendita della droga tra i diversi gruppi razziali, tuttavia gli individui in galera per droga sono in maniera sproporzionata neri e ispanici e a basso reddito.

L’applicazione della legge è mirata alle comunità che sono meno in grado di difendere se stesse. Massicci raid antidroga nei campus universitari bianchi producono certamente arresti, ma genitori e istituzioni della classe media godono di una posizione migliore per opporsi a perquisizioni ingiustificate o incostituzionali.

Quali sono state le responsabilità della politica e dei mass media nel cavalcare il tema della «paura» o della «sicurezza»?

La maggior parte degli americani pensa di essere meno sicura di una generazione fa, nonostante i tassi di criminalità siano più bassi. È evidente non soltanto nel sostegno alla legislazione «tough on crime», ma nel maggior controllo dei bambini che una generazione fa andavano a scuola da soli. La differenza non sta nei tassi della criminalità, né nell’erosione delle comunità tradizionali e dell’istituzione familiare, ma nell’esplosione della copertura continua dei media. Non c’è una criminalità più violenta, ma ne sentiamo parlare molto di più, dal momento che canali televisivi di informazione in onda 24 ore al giorno si dilungano su dettagli sensazionali.

La stessa legge dei «tre strike» che impone sentenze all’ergastolo per il terzo reato grave nacque sullo sfondo dei reati impressionanti del 1992, quando i notiziari delle reti via cavo stavano espandendo la loro copertura della cronaca nera.

Quali sono le richieste del movimento di riforma e che speranze ci sono per un cambiamento?

Mentre i tassi d’incarcerazione sono andati decisamente su, i tassi della criminalità sono andati prima su, poi giù, e poi su e giù di nuovo, dimostrando l’effetto limitato dell’aumento dell’imprigionamento a vantaggio della nostra sicurezza. I giudici sono contrari alle leggi di condanna obbligatoria che stabiliscono in partenza pene gravi da infliggere, con l’impossibilità di considerare circostanze attenuanti. Alcune di queste leggi stanno venendo messe in discussione.

La Guerra alla droga è stata un fallimento totale, a costi umani e finanziari enormi non abbiamo ottenuto nessuna diminuzione nel consumo e nella disponibilità di droga. Dopo quaranta anni di rapida accelerazione, ci sono alcuni segnali di rallentamento. Abbiamo aspettato anni per il nostro primo presidente afro-americano che parlasse della più urgente questione di giustizia razziale del nostro tempo, ma la guida non sembra provenire dal livello nazionale. New York, che ci ha portato sulla strada sbagliata con le famigerate Rockfeller drug laws nei primi anni settanta, ora sta guidando il movimento di riforma con il parziale ritiro di quelle leggi, e la conseguente diminuzione della popolazione carceraria.

Persino nel boom della costruzione e del riempimento delle carceri si sono sviluppate alternative, che sono più efficaci e meno costose. Tribunali per gli stupefacenti, trattamenti sanitari, controllo comunitario e la mediazione per una giustizia riabilitativa ora sono strumenti testati per un approccio alternativo.

Il sostegno alle persone che ritornano dal carcere è andato crescendo da parte delle politiche di reinserimento. Misure preventive importanti che aiutano le persone ad essere cittadini produttivi e a evitare recidive.

La recente legalizzazione delle droghe leggere in alcuni Stati dell’Unione sembra indicare che si sta intraprendendo una strada diversa rispetto al passato.

Vero. La legalizzazione della marijuana nel 2012 da parte del Colorado e dello Stato di Washington è incoraggiante, per quanto rimanga illegale in quei luoghi per le leggi federali. C’è stata anche una piccola diminuzione della popolazione carceraria per tre anni consecutivi. Di certo c’è ragione per un cauto ottimismo sul fatto di essere sul punto di invertire le tendenze punitive degli ultimi decenni, ma dobbiamo ancora darci da fare prima che lo stato della giustizia in America raggiunga il livello degli altri paesi.

È straordinaria la vitalità con cui hai tradotto visivamente lo studio di Mauer. Cosa si è rivelato più appassionante e quale tradizione artistica ti ha ispirato di più?

Puoi vedere tutto il giorno immagini dalle prigioni tramite Google, ed è molto utile per i dettagli tecnici, ma più leggevo sulle prigioni, più sentivo la mancanza dell’esperienza di prima mano. Non ero mai stata all’interno di una prigione. Così ho usato i contatti con la mia comunità religiosa per unirmi ad un gruppo quacchero in visita in un carcere di media sicurezza dello stato di New York. Dopo aver preso le mie impronte digitali, controllato la fedina penale, e avermi sottoposto un test per la tubercolosi, permisero che mi unissi al gruppo del sabato pomeriggio. Sebbene non abbia utilizzato nessuna informazione dalle mie visite in carcere – che avrebbe messo a rischio il mio accesso – l’esperienza dell’incontro di persone all’interno mi ha aiutata a connettermi emotivamente con il mio soggetto. Pensavo a loro al mio tavolo da disegno. Ora conoscevo persone che stavano dentro, e mi preoccupavo per loro. Mi ha aiutato a disegnare con il cuore oltre che con la mente. I miei eroi artistici sono prima di tutto i cartoonist di World War 3 Illustrated, che per primi mi hanno persuaso a fare fumetti politici. Seth Tobocman e Peter Kuper sono un modello per come inseriscono idee sociali in un testo narrativo, un gesto da giocoliere con la narrazione in una mano e il simbolismo concettuale nell’altra. Ogni volta che uso la tecnica dello scratchboard aspiro all’originale e lirico chiaroscuro di Erik Drooker. Nel drammatizzare la vita degli afro-americani, sono invece ispirata dalla sublime interpretazione apocalittica di Mac McGill. Sono anche una studiosa onnivora della storia dell’arte, per cui ho preso a prestito dal realista sociale americano George Tooker, quando costringo la figura umana in una branda troppo piccola. Mi riferisco al geniale cartoonist Saul Steinberg nel rendere le parole «Economic Opportunity» in una serie di edifici in costruzione di un cantiere. I miei uomini in lotta con le torri delle carceri che si allungano sono stati pensati come una moderna versione del gruppo scultoreo dell’antica Roma nei Musei Vaticani in cui Laocoonte lotta con i serpenti. E al solito le illuminazioni medioevali ispirano la loro devozione economica alla narrazione. Da loro ho preso l’immagine della demoniaca bocca dell’inferno attraverso la quale i carcerati entrano in un aldilà da incubo. In copertina, la bestia, che rappresenta la mostruosa proporzione del nostro sistema carcerario, è resa in uno stile da vecchio tatuaggio in omaggio all’arte da galera per antonomasia.

Quale credi sia stato il tuo speciale contributo al testo di Mauer?

Il lavoro di Mauer è costruito su una struttura di ricerca statistica, che non avrei mai potuto fare. Come artista un po’ incapace nella matematica, il mio lavoro è stato quello di tradurre i numeri in immagini, aggiungere volti alle statistiche e riassumere gli specifici dati delle sue ricerche in una concisa struttura narrativa. Il disegno porta alla luce il dramma e il pathos di questo capitolo buio della storia americana. Marc è un maestro del discorso ben documentato, ragionato, che gli è molto utile come direttore di un gruppo di ricerca e di assistenza, il Sentencing Project di Washington. Alla sua visione dell’effetto delle politiche sulla società nel suo insieme, ho aggiunto un’immagine più emotiva che include il loro effetto sugli individui. In particolare, ho aggiunto ed esteso il racconto relativo a Kemba Smith, una giovane donna condannata a più di 24 anni per un coinvolgimento marginale nello spaccio di droga del suo fidanzato. Il suo caso illustra perfettamente i temi più importanti: gli eccessi della guerra alla droga e delle leggi di condanna obbligatoria, il carico sulla gente di colore, e il crescente tasso di donne dietro le sbarre, la maggioranza delle quali ha subito abusi, ed è stata condannata in relazione a reati commessi dai loro partner maschi. La storia di Kemba fa emergere il problema con la forza di un ritratto personale.

A quali nuovi progetti stai lavorando?

Sto giusto dando i tocchi finali ad un libro dal titolo Radical Jesus: A Graphic History of Faith, che sarà pubblicato questo autunno dalla Herald Press. È un libro fatto da tre artisti, del quale io ho realizzato il primo terzo: Radical Gospel. Ho creato un testo fatto di passi con un’enfasi sugli insegnamenti di Gesù relativi alla giustizia sociale. Ho disegnato Gesù nelle vesti del primo secolo, ma nell’illustrare le storie che racconta, ho usato un’ambientazione moderna, per enfatizzare la loro rilevanza senza tempo. Io ho attinto dagli anni di esperienza in un gruppo di studio sulla Bibbia nei miei incontri quaccheri, una confessione nota per la sua storia di attivismo per la pace e l’uguaglianza. È stato bello mettere assieme in questo progetto i miei interessi politici, artistici e spirituali.