Non è rimasto senza risposta l’ultimatum lanciato dal presidente Maduro al programma Covax, mirato a garantire un accesso equo ai vaccini anti-Covid. «Il sistema Covax ha fallito. Abbiamo fatto la nostra parte, ora o ci mandano i vaccini o ci restituiscano i soldi», aveva dichiarato domenica il leader bolivariano, evidenziando come il suo paese abbia versato 120 milioni di dollari per l’acquisto di 11 milioni di dosi senza ricevere ancora nulla.

«Stiamo cercando di risolvere la questione il prima possibile», ha assicurato la fondazione Gavi, coordinatrice del programma insieme all’Organizzazione mondiale della salute.

Ma il tempo stringe. Malgrado gli sforzi, infatti, la campagna di vaccinazione – condotta finora con il vaccino cinese Sinopharm e quello russo Sputnik V, ai quali si aggiungerà presto il cubano Abdala – procede a rilento, avendo raggiunto appena l’8,8% degli abitanti.

ED È PER QUESTO CHE L’11 GIUGNO il presidente venezuelano si era rivolto direttamente al governo Biden, esigendo lo sblocco del denaro per acquistare i vaccini attraverso l’Oms. E ancora Biden è stato chiamato in causa da Maduro quando, venerdì scorso, in relazione alle visite del direttore della Cia William Burns e del capo del comando sud Craig Faller in Colombia e Brasile, li ha accusati di voler preparare un piano per attentare alla sua vita. «Il presidente Biden ha autorizzato questo piano in Venezuela? Sì o no?».

E la reazione non si è fatta attendere: «Negativo. Il piano è quello di appoggiare negoziati che si traducano in elezioni libere e giuste», ha risposto Juan Gonzalez, assistente del presidente Biden e direttore per l’emisfero occidentale del Consiglio di Sicurezza Nazionale.
E ciò in linea con la dichiarazione congiunta, firmata dall’Alto rappresentante della Ue per gli Affari esteri Josep Borrell, dal segretario di Stato Usa Antony Blinken e dal ministro degli Esteri canadese Marc Garneau, in cui Usa, Ue e Canada si sono detti «disposti a rivedere le politiche di sanzioni» in caso di «progressi significativi in un negoziato globale» fra governo e opposizione. Come «il rilascio senza condizioni di tutti coloro che sono ingiustamente detenuti per motivi politici» e «condizioni elettorali che rispettino gli standard internazionali per la democrazia a partire dalle elezioni locali e regionali previste per novembre». Un comunicato, dunque, che apre uno spiraglio sul riconoscimento internazionale delle prossime elezioni, in attesa che si pronuncino i principali partiti di opposizione.

MA È SU UN VERSANTE DIVERSO che si addensano nuvole scure sul processo bolivariano. Perché gli effetti dello spietato embargo Usa si ripercuotono anche sulla tenuta degli ideali chavisti. L’involuzione era già apparsa chiara con l’approvazione a ottobre, da parte dell’Assemblea nazionale costituente, della controversa “Ley Antibloqueo”, la quale concede a Maduro il potere di firmare nuovi accordi con imprese private senza neppure divulgarne il contenuto, in maniera da permettere alle compagnie straniere di investire nel paese senza il timore di sanzioni economiche.

La drammatica necessità di una riattivazione dell’apparato produttivo sta spingendo tuttavia verso una direzione ancora più allarmante: quella della legge, attualmente in discussione in Parlamento, per la creazione di Zone economiche speciali – la quintessenza del capitalismo -, oggetto di critiche da parte di molti settori anche interni al chavismo.

Perché, per quanto il governo si affanni a garantire che la legge non pregiudicherà né i diritti dei lavoratori né l’ambiente, i critici segnalano come le Zone economiche speciali, eliminando per definizione qualunque ostacolo al rapido sviluppo del capitale – che siano imposte, dazi, misure di protezione del lavoro, restrizioni in materia ambientale – non siano altro che enclave estrattiviste sottratte al controllo dello stato, in un atto di chiara subordinazione alla globalizzazione neoliberista.