Tua madre muore e in quel momento realizzi di non averla quasi conosciuta. Da unica figlia femmina il continuo confronto estetico, tutta la vita, è stato perdente a tuo sfavore. Questo non vuol dire niente ma è così strano che ancora continuino ossessivamente a parlarti della sua bellezza. Non c’è più la persona fisica, ovvio che se ne sia andata pure la bellezza. Come se l’estetica fosse l’elemento più importante in un essere umano. Lei era anche dolce, a volte, forse non sempre con te. Non è mai stata una brava madre ma anche questo poco importa, a te e a nessun altro, adesso.

Perché comunque sia, che sia stata assente, anaffettiva, castrante, comunque è stata tua madre. E la sua assenza repentina squarcia il velo di Maya, provoca un cataclisma tale che, dentro, ti pare si stiano riversando all’esterno tutti gli organi vitali in quanto inutili alla sopravvivenza senza di lei. Dicono tutti sentirai un vuoto. Ma tu il vuoto non lo senti, lo diventi. Lo completi, lo rappresenti, ne sei l’emblema. Dicono pure vedrai che in parte sarà una liberazione.

Come se chi ha detto uccidi tuo padre non avesse sottinteso uccidi tua madre. Ma tua madre non l’hai uccisa, si è uccisa da sola. Simbolicamente o effettivamente, attraverso abitudini malsane, malacura, abusi e privazioni. Come ogni essere vivente ha gestito il suo tempo con il disprezzo di chi pensa di sapere tutto e di avere tutto a disposizione all’infinito. L’egoismo domina l’esistenza di tutti, buoni o cattivi che siano, sani e malati, morigerati e pervertiti.

Ognuno pensa a se stesso senza preoccuparsi delle tracce, azione-reazione, che causerà ad altri, più o meno cari, più o meno familiari, più o meno amati. Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole. Una di quelle volte – l’ultima – il raggio uccide, fatale arma di addio al cosmo. E tu resti qui. Con o senza figli tuoi, con o senza compagni e amici, con o senza resti tu sola.

Diversa per sempre, mancante di un pezzo, di una zavorra aerea, di una spalliera del letto su cui non potrai più poggiare la schiena stanca. Anche se tutte le cure che avresti voluto da lei non sono mai arrivate, il sapere che non potranno mai più arrivare provoca una vertigine. Anche se parlare di cose intime non è mai stato il vostro forte, sarà lei nei momenti più impensati di cui sentirai il bisogno.

Anche nell’esempio negativo, come non fare una cosa, come non comportarsi, come evitare di finire come lei: lei lei lei, tua madre che è morta, sarà il tarlo in un cervello che vuole finire bacato del tutto. Una nuova paura si affaccia all’orizzonte: si chiama solitudine, ma anche voragine magnetica, trauma. Come tutte e tutti gli altri prima di te diventi orfano di un genitore, del genitore che ti ha generato fisicamente, tramite il tuo svilupparti nel suo corpo, attraverso il tuo ostico passaggio nel canale del parto fino a uscire in una realtà tua separata dalle membra primigenie che ti hanno ospitato e nutrito per nove mesi.

E sebbene quel periodo sia stato un’inezia in confronto al resto degli anni vissuti come madre e figlia nel mondo reale, sembra espandersi alla durata di una vita intera, voi due collegate ancora da un cordone ombelicale mai tagliato, mai scisse come gemelle siamesi, urlanti di dolore per un pizzico dato all’altra. Ma adesso qualcosa ha reciso il legame, qualcosa di violento e inopportuno, volgare e dissennato è entrato urlando dalla porta senza chiedere il permesso, qualcosa che vince sempre, che si sente onnipotente perché lo è e lo sa: la morte vi ha divise qui sopra, tra le popolazioni e le nazioni, nei paesi e nelle stagioni. Ma di sotto, nel sottosopra? Siete staccate come marionette autonome o siete due sagomine di carta velina, sovrapponibili, coi vestiti interscambiabili? Non lo sai tu, non si sa se lo sa lei. Nessuno apparentemente lo sa. Come non sai come fare a smettere di sanguinare e andare avanti trovando un senso alle cose.

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