L’antisemitismo non ha mai cessato di strisciare nel sottobosco europeo. Ma se, per profonde ragioni storiche e culturali, non è semplicemente assimilabile ad altre forme di razzismo (del resto viene coltivato anche da frange di comunità che sono a loro volta vittime di discriminazione razziale) è ormai evidente che la xenofobia e la violenza indirizzate contro i migranti, i richiedenti asilo e gli stranieri in generale ne determina la diffusione e la recrudescenza.

Non è certo un caso che l’assassino neonazista di Halle abbia rivolto le sue armi contro la Sinagoga e un negozio turco di Kebab e che nel suo manifesto il nemico da annientare venga indicato negli «anti bianchi», categoria che evidentemente assimila gli ebrei a tutti gli altri «non ariani» e a chi ne difende i diritti. Tutti coloro, insomma, che – secondo la propaganda dell’estrema destra – aspirerebbero a derubare, se non a «sostituire» l’«autentico» popolo europeo.

L’attivismo neonazista trova ormai un clima propizio in tutti quei paesi in cui domina una visione fanatica, suprematista ed escludente della cristianità, come Polonia, Ungheria e Austria. Se pur impedito dall’esprimersi apertamente il sentimento antiebraico si annida stabilmente nelle pieghe delle stesse maggioranze politiche al potere in questi paesi. Vi sono dunque serissime ragioni, non semplicemente riconducibili alla disattenzione della polizia tedesca (peraltro infiltrata dall’estrema destra), per suonare un allarme antisemitismo nel Vecchio continente.

Questo veleno che circola ormai abbondante in tutta Europa trova nei frustrati Laender della ex Repubblica democratica tedesca, dove si è sviluppato il movimento islamofobo Pegida, un ambiente decisamente favorevole. Le stesse regioni nelle quali Alternative für Deutschland, il partito della destra nazionalista ha registrato i suoi maggiori successi. E i cui esponenti sono stati indicati da più parti (in primo luogo dal ministro degli interni bavarese Joachim Herrmann) come fomentatori ideologici della violenza razzista e antisemita. Björn Höcke, leader di Afd in Turingia, tra i più compromessi con la destra radicale, si è affrettato a condannare l’attacco di Halle. Ma serve a poco. Tutto l’armamentario ideologico del suo partito e più o meno direttamente brodo di coltura dell’antisemitismo.

Infatti la condizione primaria di una rinascita del nazionalismo tedesco, di cui Afd è portabandiera, è che i suoi trascorsi nazionalsocialisti vengano infine prescritti. La Germania, insomma, avrebbe pagato a sufficienza il suo debito con gli ebrei,  l’Europa ed il mondo. E, a distanza di 74 anni dalla disfatta hitleriana, avrebbe tutto il diritto di perseguire il proprio interesse nazionale senza doversi fare carico di alcuna responsabilità nei confronti dei partner europei, né concordare con nessuno la propria politica economica e meno che mai ottemperare a un obbligo di accoglienza. Fine dunque della «Germania europea» a favore di una Germania tedesca in attesa di un Europa germanica. Nel caso tedesco la rimozione del passato coincide così direttamente con la priorità nazionale. E si pone dunque come una questione immediatamente politica. Gli ebrei, implicitamente, con la loro sola presenza, impedirebbero questa rimozione e dunque la rinascita tedesca.

Qui sta la radice dell’antisemitismo che la destra ha messo in circolazione nelle vene della società tedesca riattivando il meccanismo del risentimento antiebraico. Ed è probabilmente a questo che il presidente del consiglio nazionale ebraico Josef Schuster si riferisce quando dice di vedere nel paese sviluppi politici che favoriscono la crescita dell’estrema destra e della violenza antisemita. Quest’ultima non è dunque isolata dalla più generale avversione nei confronti di tutto ciò che «non è tedesco», in primo luogo la popolazione islamica. L’argomento del «lupo solitario» è poi tutt’altro che rassicurante, ma testimonia, al contrario, la pervasività delle pulsioni che la propaganda xenofoba ha messo in movimento, sfruttando la frustrazione dei cittadini dell’Est che il rallentamento dell’economia tedesca rischia per giunta di aggravare. Nei grandi partiti l’argine nei confronti dell’estrema destra, nonostante qualche crepa locale, tiene. Ma mai sopita è la tentazione di sottrarle terreno spostando a destra l’asse politico del paese e serrando le maglie delle sue frontiere.